Con la legge di stabilità Renzi cambia verso all’Italia e all’Europa
17/10/2014 di Alberto Saravalle e Carlo Stagnaro.

Preceduta da critiche al buio, accuse di mancate promesse o, per converso, elogi e incoraggiamenti, è finalmente arrivata la bozza della legge di stabilità. A questo punto deve necessariamente cessare la polemica politica pura sulla leadership di Renzi e si può parlare di fatti. Perché, per quanto si tratti ancora di una bozza che deve passare il vaglio di Bruxelles, e soprattutto del Parlamento (che, come si è visto nei giorni scorsi con il voto sulla nota di aggiornamento del Def, è tutt’altro che amico), oggi abbiamo in mano un programma definito di misure specifiche per affrontare la crisi senza fine in cui versiamo. La manovra ha una duplice valenza: interna perché vengono finalmente varati provvedimenti attesi da tempo, esterna perché Renzi inizia a delineare un cammino nuovo che non è fatto di rigidità ma di intelligente adattamento alle difficoltà della zona euro.

L’impressione generale è che, dopo molti interventi che potremmo definire più di manutenzione o meglio di ‘normalizzazione’ del paese (come quelli sulla burocrazia, la giustizia e lo sblocca-Italia), il governo stia cominciando ad affrontare le questioni di fondo necessarie per avviare la ripresa: prima il ‘taglia-bollette’, poi il Jobs Act, ora la riduzione delle tasse sul lavoro, prossima tappa la legge sulla concorrenza.

Una massiccia defiscalizzazione del lavoro era attesa da tempo, eppure nessuno finora aveva avuto la determinazione per realizzarla. I governi più o meno tecnici che lo avevano preceduto avevano al contrario significativamente incrementato la fiscalità. Certo, non è tutto oro ciò che si trova nella bozza della legge di stabilità: innanzitutto, secondo un brutto vezzo ormai consolidato c’è sempre una parte di ricavi attesa dalla lotta all’evasione fiscale che nei fatti si è sempre dimostrata quantomeno inaffidabile (anche se con la voluntary disclosure, in dirittura d’arrivo, qualcosa potrebbe cambiare) e sembra insufficiente la spending review, specie al livello delle amministrazioni centrali. Non tanto in termini quantitativi, ma qualitativi. Non si può dire che non vi sia stato il tempo per far propri gli interventi suggeriti fin nei dettagli da Cottarelli. Ci piace però sperare che siano solo stati rinviati per evitare di aprire al tempo stesso troppi scontri con le lobby interessate (mentre si è aperto un nuovo contenzioso con le Regioni, rispetto alle quali Palazzo Chigi si sta invece muovendo con intelligenza, come riconosciuto dallo stesso Cottarelli e come confermato dal governatore della Basilicata, Pittella, che ha accettato la sfida dei tagli). Ci sono, poi, interventi che destano qualche perplessità, come l’incremento del prelievo sui fondi pensione, posto che dovremmo al contrario incoraggiare la previdenza complementare. O ancora, il rifinanziamento dei forestali calabresi. Comunque, consapevoli che il testo finale è ancora tutto da scrivere, prevale in questa fase la valutazione positiva: il bicchiere è sicuramente mezzo pieno.

Se gli orientamenti generali della legge di stabilità usciranno indenni dal Parlamento, il governo non avrà solo segnato un punto importante nella partita della crescita. Avrà anche iniziato a dare sostanza allo sforzo di “cambiare verso” in Europa. Siamo soliti da molti anni a governi che ci fanno ingerire qualsiasi medicina – per quanto amara – con la scusa che ce lo chiede Bruxelles. Su questa falsariga, come testimonia il dibattito apertosi in queste settimane sulle pagine del Corriere della Sera, si è sviluppato un acceso antieuropeismo, in precedenza insolito nel nostro paese. In questo caso, invece, il governo si è assunto la paternità politica delle scelte effettuate, respingendo al mittente le critiche indirettamente pervenute (peraltro, anzitempo) dai falchi della Commissione.

Come avevamo scritto, la scelta di Renzi-Padoan di rispettare il parametro del 3%, ma al contempo impostare una manovra largamente espansiva, incrementando il deficit rispetto alle stime più prudenziali apre nuove prospettive negli equilibri europei. Finora, il nostro premier era stato accusato di muoversi goffamente in Europa, a causa della sua inesperienza. Così gli erano piovute molte critiche per le sue forti dichiarazioni e il mancato ricorso alla diplomazia dietro le quinte per la nomina della Mogherini. In realtà, si sta dimostrando un giocatore molto più accorto di quanto si creda. Mentre Francia e Germania interpretano i ruoli tradizionali da copione (rigetto delle regole tout court, da un lato, e rigoroso rispetto, fino quasi al suicidio, dall’altro), l’Italia sta proponendo una terza via per dare maggiore flessibilità a un sistema ingessato che rischia di avvitarsi su se stesso. Il messaggio che viene dato ai partner europei è che non è più il tempo per assecondare pedissequamente delle richieste di austerity che stanno cominciando a dimostrarsi inadeguate negli stessi paesi che più le propugnano, come dimostrano i risultati dell’economia tedesca. Sintomatico in questo senso è un video circolato quasi viralmente ieri: è scoppiato un incendio in un’abitazione. A tutta velocità arriva un mezzo dei vigili del fuoco. Ma il semaforo è rosso. Un buon motivo per non spostarsi, ha pensato bene un automobilista in Germania, troppo rispettoso delle regole. Questo è il rischio che corriamo. Occorre dunque muoversi fuori dagli schemi, e in questo Renzi è certamente bravo, per stringere nuove alleanze su questa strada.

Alberto Saravalle e Carlo Stagnaro

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