Corruzione e tangenti: servono anticorpi. Non antipolitica
15/02/2013 di Alberto Saravalle.

Esiste una questione morale? Io credo proprio di sì. I cittadini sono turbati dalle indagini che hanno coinvolto personaggi pubblici, politici, finanzieri, banche, grandi società. Occorre fare chiarezza, senza demagogia elettorale.
Negli ultimi mesi abbiamo assistito a un moltiplicarsi di indagini su scandali che coinvolgono prevalentemente amministratori locali (Lombardia, Lazio…) per reati estremamente gravi, riguardanti abusi nell’utilizzo di fondi pubblici per fini privati e questioni di tangenti. In attesa di pronunce da parte della magistratura non possiamo dare giudizi circa la colpevolezza degli indagati. E’ comunque certo, da quanto si apprende dalla stampa, che queste pratiche sono ampiamente diffuse: il  degrado dell’etica è al di là dell’immaginabile.

La magistratura indaga sul Monte dei Paschi in relazione all’acquisizione di Antonveneta, ad alcune operazioni su derivati effettuate al fine di nascondere o postergare effetti pregiudizievoli sul bilancio, all’asserita sottrazione di fondi da parte di alcuni dirigenti. Ovviamente c’è un problema di legalità per quanto riguarda l’operato dei vertici della banca e dei principali dirigenti di allora, ma c’è anche un problema di contiguità con la politica.
Al di là delle polemiche elettorali, la questione mette in evidenza un problema generale: il controllo delle grandi banche da parte delle Fondazioni che sono espressione della politica locale. Questo talora ha portato a nominare ai vertici persone che hanno meriti politici più che tecnici, come la vicenda del Monte dei Paschi dimostra. La questione non riguarda solo la competenza dei vertici, ma anche le scelte gestionali effettuate dalle banche: vengono erogati finanziamenti a clienti protetti dai partiti, si adottano politiche di bilancio per far arrivare dividendi alle fondazioni, le carriere all’interno della banca dipendono dall’appartenenza politica.

Negli ultimi giorni sono scoppiati scandali che hanno coinvolto alcune delle principali aziende italiane che operano all’estero (Saipem e Finmeccanica) per presunte tangenti. La politica viene nuovamente chiamata in campo perché il Presidente di Finmeccanica è stato apparentemente designato dalla Lega. In questo contesto, già di per sé difficile, Berlusconi interviene dicendo che non c’è nulla di cui stupirsi: così fan tutti,  in certi paesi esteri è necessario pagare tangenti per assicurarsi contratti.
Anche se da più parti si cerca di strumentalizzare le vicende per “ragioni elettorali di bottega”, i fatti parlano da soli. Prima di tutto è bene precisare che le persone coinvolte negli scandali sopra citati appartengono a tutti gli schieramenti politici: nessuno può vantare una superiorità morale né dare lezioni ad altri. Qui non si tratta dei coloriti resoconti sul malcostume della “Casta” di Stella e Rizzo, ma di corruzione e altri gravi reati. Quando un candidato alla Presidenza del Consiglio – ignorando che esistono Convenzioni internazionali dell’ONU, del Consiglio d’Europa e dell’OCSE che impongono agli Stati di punire la corruzione internazionale e che analoghi divieti vigono in tutti i paesi industrializzati (negli USA addirittura dal 1977, dopo lo scandalo Lockheed) – sdogana pubblicamente un reato punito nel nostro paese già dal 2000 vuol dire che abbiamo superato tutti i limiti e il sistema che non ha più gli anticorpi per reagire.

Perché accade questo? Le ragioni sono molteplici: la politica è entrata nel mondo degli affari attraverso le nomine pubbliche. Non c’è trasparenza. Non c’è stato ricambio della classe dirigente e nei partiti. Soprattutto, per almeno vent’anni ci è stato ripetuto incessantemente che una “cospirazione” di magistrati fa scoppiare inchieste a orologeria.

Si sono senz’altro verificati errori o abusi ed eccessi di custodia cautelare, ma questo non fa venir meno la pervasività dei reati e del malaffare che ci circonda. E allora che fare? Bisogna recidere il legame tra politica e affari privatizzando e facendo uscire le fondazioni dalle banche. Bisogna assicurare trasparenza nell’azione della pubblica amministrazione. Bisogna migliorare la legge sulla corruzione. Bisogna cambiare la classe dirigente. Questo è il programma di Fare per Fermare il declino. Senza retorica e senza richiami all’antipolitica.

 
 

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