Juncker e Tusk abbiano lo stesso coraggio di Draghi e si schierino contro “l’Europa dei muri”
09/05/2016 di Alberto Saravalle.

I muri non sono mai riusciti a fermare gli invasori. Già nella Bibbia le mura di Gerico sono crollate dopo sette giri rituali della città da parte degli ebrei che la assediavano. La grande muraglia in Cina non evitò le incursioni mongole né riuscì a proteggere i Ming dalle invasioni dei Manciù. In tempi più recenti si sa bene che il muro di Berlino, nonostante le circa duecento vittime nei ventott’anni in cui ha separato le due sezioni della città, non è riuscito a impedire le fughe dalla DDR. Anche la muraglia di protezione costruita da Israele in Cisgiordania a partire dal 2002 non ha evitato le infiltrazioni terroristiche e gli attentati. Eppure, sempre più spesso, si torna a parlare di erigere muri. Basti pensare a come la campagna elettorale di Trump abbia cominciato a fare breccia, attirando l’attenzione dei media e del grande pubblico, proprio per la promessa di costruire un muro per impedire ai messicani di entrare illegalmente negli Stati Uniti. E ora, da qualche settimana, si discute di una possibile barriera al Brennero.

È cosa nota che, in generale, i muri non servono e, in particolare, che quelli di cui si sta parlando ora non verranno mai realizzati. Nel caso del muro tra Texas e Messico è una questione prima di tutto di buon senso, nel caso del Brennero lo impone espressamente il diritto dell’Unione Europea. La disciplina di Schengen può tutt’al più essere temporaneamente sospesa (a breve termine) per ragioni di ordine pubblico o pubblica sicurezza; altrimenti può essere solo congiuntamente deciso di interromperne l’applicazione per un periodo più lungo, ma non può essere unilateralmente disattesa. Si tratta di uno dei principi fondamentali del diritto europeo, non di una qualsiasi violazione per la quale si potrà incorrere al massimo in una procedura d’infrazione. Eppure se ne parla seriamente come se fossero delle realtà. Addirittura nei giorni scorsi ci sono stati scontri con black bloc e anarchici giunti alla frontiera con l’Austria per protestare contro un muro che non c’è. Perché allora sono divenuti così prepotentemente di attualità?

La risposta è che hanno assunto una funzione politica a prescindere dalla loro effettiva realizzabilità. Per Trump è solo l’ennesima boutade di cui nessuno poi gli chiederà conto, utile in campagna elettorale per mostrare la propria determinazione ad affrontare a muso duro e in modo non convenzionale i problemi che toccano la pancia di una larga parte del proprio potenziale elettorato. In Austria (ma anche in altri paesi europei) si lascia, invece, intravedere a giorni alterni la possibilità di erigere una barriera per far mostra di “muscoli” e cercare di contrastare la crescita dei movimenti più oltranzisti, evitando così di lasciare loro il monopolio del malcontento. L’obiettivo sul piano psicologico è definire la comunità nazionale, dando un falso senso di sicurezza e protezione da chi sta dall’altra parte del muro. Novelli apprendisti stregoni giocano col fuoco delle insicurezze, suscitando nazionalismo e razzismo in popolazioni stremate da anni di crisi economica e messe alla prova da imponenti fenomeni migratori.

E allora come se ne esce? Innanzitutto, con una narrativa diversa che spieghi come l’Europa sia la risposta non il problema. Il fenomeno migratorio ha ben chiare cause (guerre, fame, repressione politica, ecc.) che lo rendono di per sé inarrestabile, a prescindere dalle regole sulla libera circolazione delle persone. L’Europa ha i mezzi (economici e politici), non per prevenirlo, ma per renderlo meno dirompente di quanto lo sarebbe per ciascuno Stato lasciato a se stesso. Ma ciò non basta. Occorre che alle parole facciano seguito i fatti e in tempi brevi. L’Unione deve cioè assumersi le proprie responsabilità, come ha giustamente ribadito nei giorni scorsi Papa Francesco. L’indecisionismo è una malattia mortale che rischia di portare l’Europa alla dissoluzione. Non parliamo solo del continuo postergare decisioni vitali, da un vertice all’altro, ma anche dell’incapacità di prendere posizione contro i sempre più preoccupanti segni di derive antidemocratiche (dall’Ungheria alla Polonia). È proprio l’assenza di una voce dell’Unione che induce taluni Stati più esposti al fenomeno migratorio a prendere iniziative unilaterali per dimostrare che loro invece si adoperano per tutelare i propri cittadini.

In concreto, che fare? 1) Basta con le manovre elusive che si limitano a spostare temporaneamente il problema da un Paese all’altro (come con l’accordo con la Turchia che ha aumentato la pressione migratoria sul Mediterraneo). 2) Cominciamo subito a dare attuazione agli interventi di prevenzione e assistenza nei paesi del bacino mediterraneo previsti dall’ambizioso progetto denominato “Migration Compact“, presentato dal nostro governo nelle scorse settimane, anche se non c’è ancora accordo sui mezzi per finanziarlo. Invece di iniziare un dibattito astratto sul ricorso o meno agli eurobond, si cominci con fondi nazionali di cui, la Commissione dica che non terrà conto ai fini del calcolo dell’eventuale disavanzo. 3) Le istituzioni europee indichino, senza mezzi termini, le conseguenze di un’eventuale violazione delle regole di Schengen. Enrico Letta ha parlato di sospensione nell’erogazione dei fondi strutturali, ma si può fare di più: l’art 7 del TUE prevede una procedura per constatare il rischio di violazione grave dei suoi valori fondanti dell’Unione (tra i quali, dignità umana e diritti umani) che dovrebbe essere caratterizzata dal “pluralismo, dalla non discriminazione, dalla tolleranza, dalla giustizia, dalla solidarietà e dalla parità tra uomini e donne”. Tale procedura, in caso di violazione grave e persistente, potrebbe condurre alla sospensione di alcuni diritti, compresi quelli di voto. Una così grave minaccia dovrebbe senz’altro arginare queste pericolose derive.

In altri termini, è venuto il momento anche per Juncker e Tusk – i Presidenti della Commissione e del Consiglio europeo – di emulare Draghi, dicendo chiaro e forte che faranno “whatever it takes” per impedire la costruzione dei muri in Europa.

Alberto Saravalle

Prossimi appuntamenti

The European Business Code Project, Europa experience-Davide Sassoli, Piazza Venezia 6, Roma, 29 settembre 2023

I miei tweet

Seguimi su Facebook