La (mancata) crisi di governo: opportunità, trabocchetti e tutti a casa per cena
02/10/2013 di Alberto Saravalle e Carlo Stagnaro.

L’improvvisa accelerazione della crisi politica italiana, dettata dalle dimissioni dei ministri di Forza Italia volute da Berlusconi, è stato un vero e proprio game-changer per il nostro paese. Le conseguenze dell’ennesima paralisi politica avrebbero potuto essere disastrose, ma hanno aperto una finestra di opportunità: per la prima volta, la costruzione di una “alternativa liberale normale” è diventata un’opzione possibile per il nostro paese.

Rispetto ai colpi di teatro ai quali il Cavaliere ci ha abituati nel passato – per esempio l’abbandono della Grande Coalizione che sosteneva il governo Monti – questa volta le circostanze erano del tutto diverse, sotto due profili distinti.

Da un lato, il capo di Forza Italia non è riuscito a montare un credibile pretesto: nemmeno l’opinione pubblica che di solito, nonostante tutto, lo vota si è bevuta il casus belli dell’Iva. Non vi ha creduto perché è del tutto ovvio che il centrodestra non ha fatto nulla di serio per impedire l’aumento dell’Iva, se non proporre coperture strampalate o l’incremento di altre imposte (come le accise sui carburanti) che, dal punto di vista macroeconomico, avrebbero potuto produrre conseguenze ancora più negative di quella sui consumi.

Dall’altro lato, per la prima volta l’elettorato del Pdl (e, seppure in misura minore, anche il suo gruppo dirigente e la platea degli eletti) ha mostrato di non condividere lo strappo dettato da Berlusconi, da tempo sollecitato dai “falchi” del partito, e ha innescato una scissione che poggia su basi politiche forti.

Questa volta non siamo di fronte a un dissidio per motivi prevalentemente personali: siamo di fronte a una diversa visione strategica. La reazione di rigetto è stata talmente forte e netta che lo stesso ex premier ha immediatamente aggiustato il tiro, prima ammorbidendo la linea sui ministri dimissionari, poi bloccando la partecipazione degli esponenti più estremisti alle trasmissioni televisive e, infine, con l’ennesima piroetta, annunciando che il Pdl avrebbe votato la fiducia al governo.

Naturalmente, non bisogna commettere l’errore di dare Berlusconi per morto. Troppe volte il Cavaliere è risuscitato grazie alla sua indubbia abilità di dettare l’agenda politica e di imporre la propria narrazione dei fatti.

La novità, adesso, è che, rispetto ai suoi stessi atti, Berlusconi gioca in difesa: non sono le altre forze politiche a dover spiegare agli elettori perché non avevano saputo scongiurare l’aumento delle tasse. Berlusconi stesso ha cercato inutilmente di convincere che la sua non è stata la mera reazione umorale e irrazionale alla condanna subita e alla fine, resosi conto di aver perso per la prima volta il contatto con i propri elettori, si è dovuto rassegnare a fare un passo indietro.

Se tutto questo è vero, allora le forze che aspirano a dare una rappresentanza non berlusconiana ai “moderati” devono impegnarsi per costruire un’alternativa credibile a Forza Italia, come ha subito scritto lucidamente Oscar Giannino. Per farlo, però, non basta aver marcato il punto in questi giorni.

È indispensabile innanzi tutto che si formi un gruppo autonomo che sia aperto ai contributi dei gruppi centristi già presenti in Parlamento e del variegato mondo liberale. In secondo luogo, alle prossime elezioni – siano esse vicine o lontane – questo nuovo gruppo dovrà smarcarsi dall’abbraccio “fatale” di Berlusconi., dando un colpo finale a ciò che resta del Pdl, in mano a Berlusconi e ai suoi “falchi. Solo in seguito ci saranno le premesse per un’alternativa europea di matrice liberale che potrà trovare la propria casa nel gruppo del Partito Popolare Europeo o in quello liberaldemocratico.

Ovviamente, nel frattempo bisogna restituire all’attività di governo un senso che vada oltre la palude negoziale degli ultimi mesi. A questo punto, l’esecutivo cercare di dare attuazione all’ambizioso programma di riforme disegnato sotto l’ombrello di “Destinazione Italia” e , ove possibile procedere con le riforme costituzionali.

Sotto il profilo economico, come minimo il governo deve trovare il modo per centrare l’obiettivo sul deficit entro la fine dell’anno e porre le condizioni per riportare la pressione fiscale entro un sentiero di sostenibilità a partire dall’anno prossimo.

Dal punto di vista del funzionamento della Pubblica Amministrazione, Letta dovrebbe cogliere il duplice stimolo proveniente dai referendum radicali e dalla procedura d’infrazione europea sulla responsabilità civile dei magistrati per mettere mano al dossier della giustizia, slegando questo tipo di intervento dalla spada di Damocle degli interessi personali di Berlusconi.

Nell’ottica delle riforme istituzionali, infine, il governo se pure potrebbe trovarsi a dover rinunciare a riscrivere la forma di Stato e di governo, può comunque ritoccare la legge elettorale almeno nei suoi aspetti più controversi (anche qui, col potenziale aiuto della Corte costituzionale se il Porcellum sarà dichiarato incostituzionale).

Il premier ha due strade – muovere verso un proporzionale più o meno puro oppure tornare al vecchio Mattarellum – ciascuna con pro e contro, ma entrambe migliorative rispetto allostatus quo. Senza contare che mettere mano alla legge elettorale aprirebbe un problema enorme allo stesso Beppe Grillo, il quale fa il diavolo a quattro (a parole) contro l’attuale legge, ma in realtà la considera di strategica rispetto ai suoi disegni.

Non mancano le voci scetticheet pour cause, sulla possibilità di un miglioramento della legge elettorale, ma per una volta riteniamo che la ragione possa concedere un poco di spazio all’ottimismo (non troppo, ahinoi).

Stiamo andando troppo avanti con la fantasia? Forse, ma davvero Berlusconi ha spinto il paese sull’orlo di una rottura più grave e più profonda che mai. La relativa tranquillità delle borse, che, dopo un calo iniziale, hanno reagito positivamente alla situazione pericolante del governo Letta, forse accredita la tesi che, agli occhi degli investitori, il “Piano B” sia considerato una opzione realistica.

Del resto, è l’unica alternativa a una campagna elettorale velenosa e destabilizzante che, stante il Porcellum, avrebbe rischiato di replicare un Parlamento frazionato e incapace di decidere. A quel punto, davvero sarebbe stato difficile evitare un intervento della Troika.

Per dirla con Woody Allen: “È chiaro che il futuro offre grandi opportunità. È anche disseminato di trabocchetti. Il trucco consiste nell’evitare i trabocchetti, prendere al balzo le opportunità e rientrare a casa per l’ora di cena”.

Carlo Stagnaro e Alberto Saravalle

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