Pacta sunt servanda (ma non per lo Stato)
25/04/2013 di Alberto Saravalle e Carlo Stagnaro.

Nell’intervento di lunedì di fronte al Parlamento, il Presidente Napolitano ha colto con lucidità le ragioni profonde dello scollamento tra una vasta parte dell’elettorato e le istituzioni. L’antipolitica – cioè il rigetto della politica come professionalità, della rappresentanza come strumento della democrazia e dei partiti come cinghia di trasmissione della società civile – non nasce solo dallo scandalo per i troppi privilegi di cui gode la “casta” politico-burocratica. Essa trae origine anche e soprattutto da “una lunga serie di omissioni e di guasti, di chiusure e di irresponsabilità“.

In queste dure parole si preconizza una larga parte del programma del futuro governo Letta per il quale il Presidente ha già chiesto ai partiti, durante le consultazioni, l’impegno a fare le riforme necessarie per ristabilire la fiducia degli italiani verso lo Stato. Per Napolitano, infatti, bisogna mettere in atto cambiamenti profondi non solo allo scopo di contrastare la crisi morale, ma anche di invertire quella politica che si sostanzia nella asimmetria tra i cittadini e le amministrazioni (e di cui si parla ampiamente in Sudditi, il libro curato da Nicola Rossi). Il Presidente ha citato, come esempio più eclatante, la legge elettorale: vi sono probabili profili di incostituzionalità (come segnalato dalla stessa Corte Costituzionale), ma soprattutto essa priva gli elettori della possibilità di effettuare una scelta effettiva e consapevole dei propri rappresentanti.

Questa asimmetria si presenta in forme diverse. Quella più odiosa è la nonchalance con cui lo Stato viola i contratti e lede i diritti quesiti dei privati. Negli anni passati (quelli delle “vacche grasse”) sono state create insostenibili posizioni di rendita che poi sono state improvvisamente rimesse in discussione negli anni delle “vacche magre”. E’ il caso dei sussidi alle fonti rinnovabili. Molte imprese sono state indotte a investire in queste tecnologie, ma quando ci si è resi conto che gli incentivi, posti a carico della collettività, erano divenuti eccessivamente onerosi, si è iniziato a ridurli, talvolta anche in modo brutale. Quello che colpisce è la disinvoltura con cui è avvenuto il voltafaccia: se è vero che gli “oneri generali di sistema” gravanti sulla bolletta elettrica sono insostenibili, è altrettanto vero che molti hanno scommesso sulle energie verdi proprio in virtù del contesto normativo in cui venivano promosse. Correggere l’eccesso è da un lato doveroso, ma dall’altro implica un cambiamento delle regole a partita in corso. Trovare un equilibrio è oggettivamente difficile. Una vicenda analoga, che sarebbe paradossale se non fosse di una gravità inaudita, è quella degli esodati: persone che hanno abbandonato il lavoro sulla base della promessa di un pensionamento rapido e che, a causa della (giusta) riforma previdenziale, si sono trovate in mezzo al guado. Per inciso, la questione esodati è anche e soprattutto un problema di accessibilità dei dati e trasparenza. Un terzo caso è quello delle concessioni autostradali. Può essere che, all’epoca delle privatizzazioni, siano state concesse ai pochi fortunati delle rendite eccessive (con l’obiettivo di massimizzare il gettito della vendita), ma questo non giustifica la continua riscrittura – ora a favore del concessionario, ora a favore dell’ente concedente – dei contratti in corso.

Una seconda forma di asimmetria, non meno fastidiosa, si ha per le molte leggi che accordano un trattamento diverso (e peggiore) ai privati rispetto a quello riservato agli enti pubblici. Per esempio, i ritardi nei pagamenti della PA – di cui in queste settimane si discute animatamente sulla scorta delle pressioni europee a smaltire l’arretrato – stridono pesantemente con tutti i principi dello Stato di diritto e con i comportamenti ritenuti moralmente doverosi anche tra privati (da qualche mese addirittura una legge ad hoc disciplina le transazioni tra privati). E contrastano con la puntualità che l’amministrazione fiscale pretende (giustamente) dai contribuenti. Ancora più surreale è il rapporto tra il Sistema Sanitario Nazionale e i suoi fornitori farmaceutici: quando le previsioni di spesa vengono superate, parte dello scostamento viene finanziato, come si dice, “a carico dei produttori” (cioè lo Stato si auto-riduce le fatture). Che dire poi dei contratti di locazione degli enti pubblici per i quali, nel decreto sulla spending review, sono stati a sorpresa previsti il blocco dell’aggiornamento Istat e la riduzione dei canoni nella misura del 15% dal 2015?

Il punto è che il continuo cambiamento delle leggi e le disparità di trattamento tra pubblico e privato non solo producono un danno all’economia, ma alimentano anche la percezione d’inaffidabilità dello Stato. Il che a sua volta dissuade gli stranieri, già spaventati dalla burocrazia e dal groviglio di leggi, dall’investire in Italia. Gli effetti sono sotto gli occhi di tutti.

Nel suo discorso d’insediamento, Napolitano ha dunque colto un tema fondamentale: l’esigenza di rispettare i patti e ricostruire un level playing field tra amministrazioni e cittadini. Se vogliamo riconquistare un diffuso senso della legalità, bisogna anzitutto che le leggi siano percepite come giuste e la loro applicazione come equa.

Alberto Saravalle e Carlo Stagnaro

Prossimi appuntamenti

The European Business Code Project, Europa experience-Davide Sassoli, Piazza Venezia 6, Roma, 29 settembre 2023

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