Per eleggere i giudici della Consulta, si facciano audizioni pubbliche
15/12/2015 di Alberto Saravalle.

Ricominciano le votazioni per la nomina dei giudici costituzionali. È ormai un anno e mezzo che la Corte funziona a ranghi ridotti, perché il Parlamento in seduta comune non riesce a eleggere tre giudici la cui nomina è di propria spettanza. Nel frattempo siamo arrivati alla trentesima votazione senza che venisse mai raggiunto il quorum (3/5). Autorevoli giuristi, con alle spalle brillanti carriere accademiche e nelle istituzioni, sono stati così “sacrificati” sull’altare di questa rituale votazione. Per il momento sembra che si voti scheda bianca in attesa di una convergenza su nomi che trovino gli ampi consensi necessari. Per superare gli ostacoli e i tranelli nell’urna, perché non pensare per il futuro a una procedura trasparente che preveda delle audizioni pubbliche come negli Stati Uniti?

Come è noto, i partiti di governo non hanno la maggioranza necessaria a eleggere i giudici e sono dunque costretti a trovare un accordo con le opposizioni. In più di un’occasione, sembrava che il Pd avesse trovato un accordo con i centristi e Forza Italia. Sulla carta, c’erano pertanto i voti per portare i candidati concordati a tavolino alla Consulta. Nel segreto dell’urna, però hanno prevalso diverse pulsioni: divisioni interne ai partiti, asti di natura personalistica verso i rispettivi leader, insofferenza per gli ordini di scuderia delle segreterie, ostilità verso i candidati designati o desiderio di affossarli con la segreta speranza di vederne nominati altri di amici (e talora anche se stessi).

Michele Ainis, in un recente articolo sul Corriere della Sera, ha perfino insinuato che si voglia in qualche modo azzoppare il giudice delle leggi che negli ultimi tempi ha creato fin troppe difficoltà ai partiti di governo dichiarando incostituzionali delle riforme importanti, ma approvate un po’ troppo rapidamente e superficialmente. Basti pensare alle sentenze che hanno bocciato il blocco della perequazione delle pensioni e quella sul blocco dei contratti e degli stipendi della Pubblica Amministrazione. Lex dura lex, sed lex ci ha ricordato sempre più spesso la Corte Costituzionale.

Gli articoli che si sono occupati della questione nelle ultime settimane hanno posto l’accento sull’incapacità del Parlamento di eleggere i giudici e sul cosiddetto mercato della politica, usando talora toni sferzanti. Gli stessi presidenti di Camera e Senato hanno parlato di “brutta immagine” e di “tempo scaduto” e si sono impegnati a far votare a oltranza fino a che si procederà all’elezione. Sembra quasi si miri a prendere “per stanchezza” deputati e senatori che si ostinano a ritardare l’elezione dei tre giudici.

Certo, l’elezione è nelle mani dei parlamentari, ma – a ben vedere – non potrebbe dirsi che il difetto stia nel manico? In altri termini, se i candidati, col voto segreto in Parlamento non riescono ripetutamente a ottenere il quorum, non è che la colpa sia in primis di chi li ha scelti e/o del metodo con il quale sono stati selezionati?

La scelta è sempre stata fatta dalle segreterie dei partiti e i nomi concordati, per quanto illustri, sono stati imposti ai rispettivi gruppi parlamentari senza un’adeguata preparazione della candidatura. Non vi è da stupirsi se poi qualcuno si è ribellato agli ordini di scuderia. Del resto anche per le elezioni presidenziali, nel passato recente, sono stati bruciati (anche per mancanza di un’appropriata preparazione) autorevoli candidati che, sulla carta, avevano la necessaria maggioranza. Basti ricordarsi dei 101 franchi tiratori che nel segreto dell’urna affossarono Prodi.

Sempre più spesso, poi, si ha l’impressione che le candidature siano il frutto di accordi che poco hanno a che vedere con le competenze giuridiche del candidato, ma siano piuttosto la ricompensa per altri meriti acquisiti nella carriera parlamentare e/o politica. Da ultimo, per esempio, solo pochi giorni fa, il sindaco di Milano Pisapia è stato costretto a smentire i rumours di avere chiesto un posto alla Consulta al termine del proprio mandato. Per non dire, infine, delle dicerie, circolate nelle settimane scorse, che i tre ultimi candidati fossero stati scelti anche alla luce delle proprie precedenti dichiarazioni a favore dell’Italicum, dal momento che poi spetterà alla Corte pronunciarsi sulla costituzionalità della nuova legge elettorale.

Senza voler necessariamente trapiantare un sistema che nasce diverso, perché la designazione in quell’ordinamento spetta al Presidente, si ricordi che i candidati alla Corte Suprema negli Stati Uniti sono sottoposti ad audizioni pubbliche in Senato, nelle quali sono discusse le loro credenziali giuridiche e, entro certi limiti, anche le loro posizioni ideologiche, all’esito delle quali si vota per la loro conferma. Per superare molti dei problemi sopra indicati nelle elezioni dei nostri giudici di spettanza del Parlamento, gioverebbe senz’altro una simile procedura che, da un lato, imporrebbe una più accorta selezione ex ante (sapendo che eventuali inadeguatezze verrebbero alla luce nelle audizioni) e dall’altro, coinvolgerebbe maggiormente nella decisione deputati e senatori, evitando così voti contrari solo per ripicche e senza che si conoscano bene le credenziali del candidato. E perché no: anche per le nomine di designazione della magistratura e del Presidente della Repubblica non sarebbe inappropriata quanto meno una motivazione che le accompagni. La trasparenza non guasta mai.

“Ci sarà pure un giudice a Berlino”, disse il celebre mugnaio di Potsdam che, pur avendo subito numerosi soprusi dai tribunali locali e dalle corti d’appello cui si era rivolto, non si rassegnava facilmente a subire un’ingiusta condanna. Ebbe ragione a insistere e alla fine ottenne un verdetto favorevole che gli fece restituire il mulino che gli era stato ingiustamente sottratto. Se fosse vissuto nell’Italia contemporanea, forse non avrebbe potuto dire una simile frase.

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