All’Europa non piace la Commedia dell’Arte
21/06/2013 di Alberto Saravalle e Carlo Stagnaro.

Spesso Berlusconi coglie l’umore del paese e lo ripropone in maniera provocatoria. Seguono, normalmente, una serie di articoli più o meno sdegnati dei suoi critici, in Italia e all’estero, che non fanno che aumentare la sua popolarità nel paese.

Questo semplice schema si è riprodotto per l’ennesima volta nei giorni scorsi quando Berlusconi, in modo ineffabile, ha detto “Il Governo sfori il tetto del 3% tanto l’Europa non ci caccia”.

Il tema del mancato rispetto dei parametri del Fiscal Compact si presta a molteplici considerazioni che vale la pena affrontare (senza dilungarsi su quelle più squisitamente tecniche).

Il contesto normativo è ormai abbastanza noto a tutti. La crisi del debito sovrano ha portato alla conclusione, nel marzo 2012, di un Trattato sulla stabilità, il coordinamento e la governance nell’Unione economica e monetaria che prevede, tra l’altro, l’impegno a mantenere il deficit pubblico sotto il 3% del Pil (come era previsto dal Patto di stabilità e crescita) e sanzioni semiautomatiche per chi viola la regola.

In particolare, sulla base del c.d Six Pack del 4 ottobre 2011 (quando a Palazzo Chigi c’era ancora Berlusconi), per i Paesi che superano il limite annuale del 3% è previsto un deposito dello 0,2% del Pil trasformabile in multa. Il tutto è strettamente monitorato da Bce, Consiglio europeo, Commissione e Vertice euro.

Nel caso di sforamento del 3% non verremmo, dunque, cacciati dall’Unione, ma saremo passibili di diverse pesanti conseguenze: oltre alla multa sopra indicata, si aprirebbe una nuova procedura di infrazione per deficit eccessivo, l’impossibilità – in caso di bisogno – di accedere al fondo salva-Stati e maggiori pervasivi controlli da parte delle istituzioni europee.

Il punto però non è questo. Berlusconi, in perenne campagna elettorale, sa bene che questi tecnicismi non interessano agli italiani, mentre abolire l’Imu sulla prima casa ed evitare l’aumento dell’Iva (che potrebbero ottenersi con un po’ più di deficit) toccano le loro corde. Queste decisioni avrebbero, tuttavia, delle pesanti implicazioni sul piano finanziario, politico e di sistema-paese sulle quali conviene riflettere attentamente, anche per le ricadute nelle tasche degli italiani. Siamo nel classico caso in cui qualcosa che è apparentemente desiderabile nel breve termine può sortire conseguenze disastrose nel lungo. Più ancora che ai cavilli giuridici, insomma, dovremmo badare a ciò che diciamo per gli effetti che ne possono derivare.

Innanzitutto c’è un problema finanziario da non sottovalutare. La vera sanzione, infatti, prima dell’Ue la irrogherebbero i mercati, elevando immediatamente lo spread tra i nostri titoli di Stato e quelli tedeschi a livelli insostenibili, come già avvenuto nel passato recente. La limitata credibilità acquisita negli scorsi 18 mesi lascerebbe immediatamente il campo a una nuova ondata di speculazione. E sarebbe difficile per lo stesso Draghi – già sotto pressione per il giudizio in corso dinanzi alla Corte Costituzionale tedesca – giustificare un intervento per aiutarci.

Il secondo problema è politico-istituzionale. L’Europa è fondata sulla “rule of law“. C’è perfino una Corte di Giustizia per far rispettare le regole agli Stati e alle stesse istituzioni. Molti problemi hanno avuto inizio proprio quando si é divenuti tolleranti verso gli Stati inadempienti in nome della Realpolitik. E’ il caso della mancata apertura di una procedura per deficit eccessivo contro Francia e Germania nel 2003 quando, per la terza volta, sforarono il tetto del 3% previsto dal Patto di stabilita e crescita. Una volta violata la norma, si è diffuso il convincimento che le regole potevano essere rinegoziate in un braccio di ferro tra paesi dell’eurozona o con reciproche concessioni. Così è iniziata la politica di prodigalità nella spesa pubblica che in Italia ha vanificato i benefici dei bassi tassi d’interesse per effetto dell’euro e ci ha condotti fin qui.

Il terzo problema riguarda la credibilità del sistema-paese. Delle due l’una: o sceglievamo di non rientrare dalla procedura di infrazione, restando ancora sul banco degli imputati, per effettuare maggiori spese al servizio della crescita, concordate a Bruxelles e Francoforte (ad es., i pagamenti della PA che solo per ragioni formali non erano qualificabili come debiti) oppure rispettiamo gli impegni assunti. E’ inammissibile che poche settimane dopo aver fatto della chiusura della procedura una questione di orgoglio nazionale, eccediamo nuovamente il tetto di deficit ammesso.

In conclusione: fare ciò che Berlusconi consiglia, e che molti sotto sotto condividono, non ci conviene. Impoverirebbe i cittadini, avrebbe effetti devastanti all’interno dell’Ue (in un momento in cui, al contrario, occorre più coesione) e decreterebbe, per l’ennesima volta che siamo un inaffidabile paese di Pulcinella. Quest’ultima conseguenza, per chi ha lungamente vissuto a stretto contatto con la commedia dell’arte, forse non sembra un male. Per gli italiani lo è.

Alberto Saravalle e Carlo Stagnaro

Prossimi appuntamenti

The European Business Code Project, Europa experience-Davide Sassoli, Piazza Venezia 6, Roma, 29 settembre 2023

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