Fama, Hansen, Shiller: cosa insegna il Nobel all’Italia
15/10/2013 di Alberto Saravalle e Carlo Stagnaro.

Se i mercati sono efficienti, a che serve la politica? Il nostro paese ha molto da imparare dal premio Nobel per l’Economiaassegnato ieri a Eugene Fama, Lars Peter Hansen e Robert Shiller. Sono tre studiosi molto diversi tra di loro, ma che meritano di essere considerati in modo unitario perché, attraverso i loro contributi – per la verità non sempre coerenti gli uni con gli altri – hanno impresso alla disciplina un deciso passo in avanti, tanto nell’approccio quanto nel metodo.

Fama è l’artefice dell’ipotesi dei mercati efficienti: il corso di un’azione è imprevedibile nel breve termine. Le informazioni vengono rapidamente assorbite per cui nessun gestore di fondi, per quanto geniale, sarà mai in grado di “battere” il mercato. Shiller ha invece spinto lo sguardo più in là, osservando che i prezzi delle azioni possono essere talora il frutto di fattori irrazionali, ma altri parametri vitali di un’impresa, come il rapporto tra i prezzi delle azioni e i dividendi erogati, hanno una variabilità molto inferiore e su questa base l’andamento dei corsi nel medio-lungo termine può essere più facilmente previsto. Hansen, infine, ha sviluppato gli strumenti statistici per affrontare lo studio di fenomeni complessi: a partire dai mercati finanziari.

Quella dell’Accademia di Svezia è una scelta coraggiosa, per almeno tre ragioni diverse. In primo luogo, per quanto possa apparire (e in parte sia) cerchiobottista, il premio a tre economisti tanto distanti è un riconoscimento della natura sfaccettata della disciplina.

L’economia non è un’ortodossia, con i suoi chierici e i suoi eretici: l’economia è un metodo e il suo avanzamento sta soprattutto nella crescente capacità di analizzare i dati. In secondo luogo, questa volta il Nobel va contro ogni retorica: in un periodo di sfiducia verso i mercati e di ritorno all’investimento pubblico – ritorno intellettuale prima ancora che politico – il premio più prestigioso va a un uomo il cui nome è legato ai mercati efficienti, un altro che (pur critico dell’efficienza tout court) si è sforzato di trovare soluzioni comunque di mercato, e un altro ancora che ha posto le basi per un’indagine rigorosamente empirica della realtà per come emerge dal basso.

In terzo luogo, perché l’oggetto del Nobel – al di là degli altri studi dei tre economisti – sono i loro lavori sul valore degli asset e l’utilità, i limiti e le necessarie correzioni dei mercati finanziari come “bacchetta del rabdomante” per scoprirlo.

Che dicono, allora, Fama, Shiller e Hansen all’Italia? Ci dicono, per prima cosa, che la realtà è complessa. Non si può pensare di affrontare questioni della portata di quelle con le quali il nostro paese è chiamato a confrontarsi svicolando nelle scappatoie retoriche. Serve una comprensione profonda delle cose, e questa comprensione può venire solo dalla raccolta certosina di informazioni. Inoltre, ci dicono che, così come nessuno può “battere il mercato”, neppure lo Stato può farlo: mestiere delle istituzioni pubbliche è regolare i mercati, per farli funzionare bene; non giocare all’asset manager o intervenire sulle dinamiche sottostanti per influenzare le scelte d’investimento piuttosto che gli assetti proprietari delle imprese.

Da ultimo, per generare benefici i mercati devono essere quanto più aperti e trasparenti possibili: quindi gli sforzi dei governi dovrebbero andare nella direzione di ridurre la discrezionalità degli interventi e introdurre norme quanto più generali e astratte sia possibile, non nel senso contrario, che troppe volte, invece, ci è sembrato intravvedere nella scelte concrete – purtroppo – anche di questo esecutivo.

I tre Nobel di oggi ci insegnano anche un’altra cosa, forse la più importante di tutte. La conoscenza che gli economisti, e gli studiosi in generale, possono avere della realtà è per forza di cose parziale, frammentaria, e vincolata dai limitati dati disponibili. Tuttavia, questa conoscenza parziale non è “muta”: essa contiene delle lezioni anche se non sempre possiamo trarne le deduzioni che vorremmo. Per esempio, è molto difficile dire cosa possa influenzare positivamente la crescita economica di un paese.

Per questo non esiste alcuna facile scorciatoia. Tuttavia, è possibile dire quali condizioni inibiscono lo sviluppo. Fama, Shiller e Hansen, lontani come sono da un approccio puramente teorico e astratto, hanno mostrato come l’unico possibile approccio al reale sia dal basso- alla ricerca di informazioni e del senso dell’informazione stessa. Per parafrasare il titolo di un fortunato libro di Alberto Bisin, per capire la realtà – tanto più in un paese come il nostro – servono dati e modelli, non favole e numeri.

Chi oggi è investito del compito di governare l’Italia, o quelli che si candidano a farlo nel futuro prossimo, dovrebbero tenere in grande considerazione il senso di questo premio. Più ancora della lezione diretta di Fama, Shiller e Hansen, che ha a che fare con la comprensione delle modalità con cui gli individui interagiscono tra di loro, conta la logica dell’Accademia di Svezia: la realtà è così complessa che nessuna risposta semplice può essere anche una risposta soddisfacente.

Noi stessi ci rendiamo conto di quanto sia importante sfuggire alla facile tentazione di trovare soluzioni ideologiche. Tante volte abbiamo sottolineato che la grande sfida per i governi italiani è portare avanti pragmaticamente, attraverso tentativi ed errori, operazioni complesse, sia sul fronte delle finanze pubbliche sia su quello della apertura e regolazione dei mercati. Il Nobel di ieri è un invito a considerare l’apparente irrazionalità dei mercati come figlia di una razionalità degli individui più profonda, che li può portare a sbagliare ma che – nonostante tutto – fa dei mercati un potente strumento per far emergere informazioni e conoscenza.

Diverto è il caso quando le politiche sono sbagliate: esse non sono soggette allo stesso tipo di correzione automatica che si osserva, per esempio, in seguito allo scoppio di una bolla finanziaria. Cautela, razionalità, ricerca della conoscenza e attenzione alle conseguenze inintenzionali sono caratteristiche sempre utili, ma qui-e-ora più che mai necessarie.

Carlo Stagnaro e Alberto Saravalle

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