Il Governo Letta: As good As it Gets
02/05/2013 di Alberto Saravalle e Carlo Stagnaro.

Il governo Letta ha da pochi giorni giurato e sta iniziando a prendere le misure dei problemi da affrontare. Le aspettative sono molte, anche se vi è ancora un certo scetticismo circa la sua capacità di risolvere i problemi sul tavolo – scetticismo confermato dallo stesso premier quando, intervenendo al Senato, ha invitato a non pretendere troppo dal nuovo esecutivo. Soprattutto, mentre finora sono chiari gli interventi di spesa, vi è molta ambiguità circa la provenienza delle risorse per farvi fronte. Eppure, crediamo si debba dare fiducia al governo, non solo perché i partiti che lo compongono sanno che senza seri interventi sul piano istituzionale ed economico, alle prossime elezioni rischiano di essere spazzati via, ma anche e soprattutto perché, al di là delle inevitabili polemiche, vi è ormai convergenza sulle misure da adottare. Ripartiamo dunque dalla famosa lettera della BCE dell’agosto 2011, dalle partite lasciate aperte dal governo Monti (ad esempio, la proposta Giavazzi sull’abolizione dei sussidi alle imprese e la delega fiscale) e dalle relazioni dei “Saggi”.

Prima ancora di entrare nel merito delle iniziative, è bene però parlare di metodo. Per riuscire, Letta deve dimostrare il coraggio che non sempre ha avuto il suo illustre predecessore. Dopo la dura riforma Fornero sulle pensioni, infatti, pur sostenendo di avere abbandonato il metodo della concertazione, di fatto ha aperto una lunghissima trattativa con sindacati e Confindustria e la montagna (la riforma del mercato del lavoro) ha partorito un topolino (peraltro, con molti difetti congeniti). Lo stesso è accaduto con le liberalizzazioni. Dopo la retromarcia di fronte alle proteste dei taxisti romani è iniziata una lunga trattativa in Parlamento dove ogni lobby ha potuto farsi sentire. Simile esito per la legge professionale degli avvocati che ha smentito gli iniziali intenti liberalizzatori sbandierati dal governo e per le concessioni balneari. Forte della valenza politica del suo governo e dell’ampia maggioranza di cui gode, Letta deve invece riuscire a concordare prima le riforme strutturali da effettuare, negoziandole in seno al governo, ma poi portarle fino in fondo in Parlamento. Ovviamente deve scegliere bene le proprie battaglie, concentrandosi su quelle che è certo di poter vincere, e combatterle fino in fondo. Thatcher docet!

Una seconda questione preliminare riguarda la comunicazione. Già da questi primi giorni sembra essere cambiato qualcosa. Il tono è pacato, senza essere conciliante o ambivalente. Dopo una campagna elettorale gridata e un avvio di legislatura tra polemiche e provocazioni (culminato con la pseudo marcia su Roma del M5S e la tragica sparatoria davanti a Palazzo Chigi) si sta riprendendo a parlare di cose concrete. Ce n’era bisogno. Anche i primi incontri con i leader stranieri denotano europeismo, ma non arrendevolezza. Abbiamo sentito un nuovo lessico ove si parla di crescita, oltre che di austerity. Se dunque il buongiorno si vede dal mattino, possiamo contare su un diverso stile di leadership, più adatto a questo momento difficile in cui occorre ricucire per far passare le necessarie riforme.

La stessa scelta della Convenzione per elaborare le riforme istituzionali sembra prima facie felice. Si possono coinvolgere diverse autorevoli voci del paese ed esponenti della cosiddetta società civile, bypassando le mediazioni partitiche e parlamentari che si sono finora dimostrate incapaci di pervenire ad alcun risultato e avvicinando maggiormente la gente al processo.

Infine, nel merito, poiché le cose da fare sono tante, crediamo sia bene concentrarsi subito su quelle che possono avere un impatto forte che ci porti fuori dall’attuale fase di stallo. Gli interventi per la crescita sono stati definiti e sono largamente condivisibili. Occorre però ora individuare le risorse per realizzarli. Per far ciò, sono necessarie riforme strutturali, prima tra tutte quella sull’abolizione dei sussidi alle imprese proposta da Giavazzi e troppo a lungo rimasta sul tavolo del governo. Insomma, come indicato in un nostro precedente intervento, non sono sufficienti i tagli ottenibili con una banale spending review. Bisogna incidere sui nodi politici sottostanti per ottenere, almeno nel medio termine, risultati significativi. Così, ad esempio, non basta tagliare le province o i tribunali, ma occorre anche riformare le funzioni della PA. Talora ciò può comportare un allentamento del rigore del governo Monti, ma solo nel breve termine – ed è tollerabile a patto che sia dimostrabilmente così. Si pensi agli interventi per la digitalizzazione o per la riforma della giustizia. Se pure possono portare a un maggior costo nell’immediato è inequivocabile che porteranno benefici rilevanti nel futuro. E dunque, gli eventuali scostamenti del deficit possono essere più facilmente accettati dai nostri partner europei e dai mercati.

Le prossime settimane ci diranno se veramente “qualcosa è cambiato”. A questo proposito, ci piace ricordare che il titolo dell’omonimo film con Jack Nicholson era “As good as it gets” (meglio di così non si può). Forse questa definizione, in questa fase, si può applicare anche al Governo Letta. O almeno così ci piace sperare.

Alberto Saravalle e Carlo Stagnaro

Prossimi appuntamenti

The European Business Code Project, Europa experience-Davide Sassoli, Piazza Venezia 6, Roma, 29 settembre 2023

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