La ripresa è un sogno di mezza estate? Due proposte per svegliarci bene
08/08/2013 di Alberto Saravalle e Carlo Stagnaro.

A fine anno ci sarà la ripresa? Dall’ultimo vertice tra Letta, Saccomanni e Visco è arrivato un segnale di ottimismo, dopo tanti mesi di cattive notizie. Segnale, del resto, confermato dal pur timido rialzo della produzione industriale (+0,1%), a fronte però di un risultato decennale a dir poco drammatico (-17,8%).

La cautela è, peraltro, doverosa, se si tiene conto delle previsioni ancora cupe per il risultato atteso nel 2013: si stima, infatti, che il Pil italiano nell’anno in corso lasci sul terreno un altro pesantissimo 1,8%.

Come sempre, ai dati bisogna guardare con crudo realismo. Se, da un lato, non dobbiamo trascurare gli elementi positivi, dall’altro, non possiamo neppure dimenticare l’andamento dell’economia italiana negli ultimi anni. Com’è noto siamo affetti da una stagnazione strutturale, che si spiega soprattutto con una crisi di produttività.

A porre rimedio, almeno in parte, a questa crisi erano diretti i suggerimenti contenuti nellalettera della Bce del 5 agosto 2011, che però, a due anni di distanza, sono ancora in larga parte disattesi.

Come avevamo scritto di fronte alla chiusura della procedura d’infrazione per deficit eccessivo, la possibile ripresa economica è una buona notizia, ma non può esimerci dall’adottare le riforme indispensabili a innescare un circolo virtuoso di crescita. Infatti, le previsioni sulla crescita del nostro Pil sono legate essenzialmente alla congiuntura internazionale, cioè a un fattore esogeno.

È come possedere una casa con una finestra rotta: se spunta il sole, smette di piovere dentro, ma i problemi non sono risolti e, prima o poi, il tempo peggiorerà. Un “buon padre di famiglia” approfitta di quest’opportunità per aggiustare il vetro. Fuor di metafora, dobbiamo far tesoro di questi timidi cenni di ripresa per affrontare con fermezza i nostri problemi strutturali. Vogliamo contribuire con due proposte.

In primo luogo, occorre mettere a frutto gli sforzi – peraltro insufficienti – compiuti in nome dell’austerità negli ultimi anni. Sebbene la spesa pubblica nel suo complesso non sia calata (secondo il Def, è anzi cresciuta dal 51,1% del Pil nel 2010 51,5% nel 2013) si è quantomeno cercato di contenerne l’aumento. E’, del resto, normale che in un periodo di recessione la spesa per prestazioni sociali (al netto delle pensioni) aumenti: da 61 miliardi di euro nel 2010 a 65 miliardi nel 2013.

Il Documento di economia e finanza prevede un ulteriore aumento e, probabilmente, i risultati reali saranno ancora peggiori perché la stima del Tesoro sul Pil (-1,3%) sembra troppo ottimista. Inoltre, variabili come la disoccupazione sono tipicamente “in ritardo” rispetto al Pil: prima si torna a crescere, e poi le imprese iniziano ad assumere. Ma, in un qualche momento che speriamo non tardi troppo, la spesa sociale dovrà calare.

La nostra proposta è dunque che il governo si impegni fin d’ora a tradurre ogni euro risparmiato in futuro sulle prestazioni sociali in minore tassazione sul lavoro. Non deve più accadere che la minore spesa per una posta di bilancio sia compensata da maggiore spesa su un altro fronte.

La seconda proposta riguarda l’evasione fiscale di cui si continua a parlare in queste settimane. E’ inutile ripetere l’ovvio: va combattuta, oltre che per ragioni etiche, perché distorce la concorrenza e contribuisce al “nanismo” imprenditoriale italiano.

Bisogna, però, che gli strumenti adottati per contrastarla siano ragionevoli e rispettosi dei principi su cui si regge uno stato di diritto, cosa che non sempre è avvenuta. Ma, soprattutto, occorre stipulare un “patto sociale” con i contribuenti, indispensabile per un’efficace lotta al “nero”. Il gettito ricavato deve essere interamente destinato alla creazione di un fondo taglia-tasse e deve essere data periodicamente adeguata informativa sui risultati conseguiti in modo da rendere il pubblico partecipe di questa campagna.

Se, invece, la lotta all’evasione continuerà a essere un mero strumento per aumentare la pressione fiscale (come è avvenuto finora, visto che ai risultati conseguiti non è corrisposto un abbassamento delle tasse), si romperà il rapporto di fiducia che dovrebbe legare il contribuente allo Stato.

Si aggiunga che il momento per questi provvedimenti – così come per un più ampio piano di riforme – è congeniale. Così facendo, infatti, si riporterebbe l’attenzione – temporaneamente focalizzata sulla condanna di Berlusconi – sull’azione di governo. Sarebbe un modo concreto per dimostrare agli italiani l’assurdità di una crisi politica proprio ora. E sarebbe anche la prima volta che un governo prende impegni specifici di tal genere a valere sulla finanza pubblica. Come diceva il maestro Manzi, tanti anni fa: non è mai troppo tardi.

Carlo Stagnaro e Alberto Saravalle

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