Le elezioni francesi, il terrore e la legge di Murphy
21/04/2017 di Alberto Saravalle.

La legge di Murphy (se qualcosa può andare male, lo farà) forse non ha solide basi scientifiche, ma molto spesso ci azzecca. Le elezioni presidenziali francesi sembrano darne ulteriore conferma. Lo scenario da incubo (un ballottaggio al secondo turno tra Le Pen e Mélenchon), che fino a poche settimane fa nessuno osava neppure immaginare, è non solo verosimile, ma per alcuni analisti anche probabile. Ormai – dopo Brexit ed elezioni Usa – dovremmo essere abituati a non dare molto peso ai sondaggi e soprattutto alle solide certezze degli opinionisti, ma finiamo per ricascarci ogni volta.

Dopo gli scandali che avevano azzoppato Fillon, il candidato di punta era Macron che sembrava dovesse facilmente prevalere al primo turno per poi confrontare Le Pen al ballottaggio. Nonostante la sua limitata esperienza politica, l’assenza di una solida macchina elettorale e il programma liberale ed europeista, in piena controtendenza con il populismo imperante, pochi dubitavano dell’esito finale, tant’è che i mercati non prezzavano il rischio di una vittoria di Le Pen.

Unica voce contro tendenza è stata quella di Goldman Sachs che a fine marzo ha avvertito che il divario tra Macron e Le Pen era probabilmente molto inferiore a quello che risultava dai sondaggi.

Nelle ultime due settimane, però, è iniziato il tracollo del Partito socialista che ormai, secondo i sondaggi, è sceso al 7.5 %. Condannati all’irrilevanza politica in queste elezioni, con un candidato improbabile come Hamon, molti elettori del Ps sono migrati nel campo di Mélenchon che ormai tallona Macron e Le Pen e pare ancora in crescita, soprattutto tra i giovani.

La sua è una campagna da sinistra contro il sistema che, pur partendo da una visione del mondo assai diversa, condivide molte battaglie con Le Pen: dalla necessità di riscrivere le regole in Europa alla netta opposizione al modello economico-sociale liberale e globalista.

Dopo il pirotecnico quinquennio di Sarkozy, Hollande aveva vinto le elezioni con la promessa di un ritorno alla normalità. Alla prova dei fatti, però, la sua è stata una presidenza inconclusiva che ha portato ai minimi storici i consensi, al punto da indurlo a non ricandidarsi.

Così – delusa dai partiti tradizionali – la maggior parte dei francesi si appresta a votare tre candidati che non provengono dai ranghi dei partiti che si sono storicamente contesi il potere nella quinta repubblica. Il problema è che Le Pen e Mélenchon (che insieme al primo turno potrebbero raccogliere più del 40% dei consensi) non sono solo esterni ai partiti, ma fuori dal sistema.

Il rischio maggiore è ovviamente rappresentato da Le Pen che, nonostante i sondaggi la diano perdente di misura con gli altri candidati, ha effettive possibilità di vincere al ballottaggio. Tanto per cominciare, mentre nel passato era una sorta di “outcast“, oggi ha ricevuto una certa legittimazione nel panorama politico francese.

Per la prima volta, per esempio, è stata invitata nel dibattito televisivo iniziale tra i principali 5 candidati. Inoltre, si è apertamente distaccata dalle posizioni del padre, cercando di recidere i legami con quella tradizione dell’estrema destra francese (antisemitismo, passato coloniale, Vichy, etc.), anche se poi nei giorni scorsi è caduta in uno dei luoghi comuni di quel passato, cercando di negare le responsabilità francesi per l’infame retata degli ebrei al velodromo d’inverno di Parigi nel luglio del 1942.

Resta il fatto che le tematiche su cui fa leva (antieuropeismo, immigrazione, opposizione alle élite liberali, sovranità nazionale, etc.) sono suscettibili di attrarre ben più ampie fasce di elettorato rispetto al bacino tradizionale dell’estrema destra. E la disintegrazione dei partiti tradizionali l’avvantaggia perché ci sono molti voti in libera uscita, una parte dei quali potrebbe andare anche a lei.

Non possiamo, poi, escludere che molti che dichiarano di votare in ogni caso contro Le Pen, al secondo turno, nel segreto dell’urna, votino in realtà per lei. È un fenomeno che abbiamo sperimentato in Italia con Berlusconi e ritrovato nel referendum inglese e nelle elezioni americane.

La gente si vergogna a dire che vota per il candidato stigmatizzato dai media tradizionali, ma poi nella cabina elettorale si riprende la propria libertà. C’è anche il problema dell’astensionismo. Molti républicains conservatori che si identificavano con il messaggio di Fillon (rigore, sicurezza, meno tasse, etc.) potrebbero non votare al ballottaggio, soprattutto se il candidato alternativo dovesse essere Mélenchon. E le astensioni giocano ovviamente a favore di Le Pen.

Da ultimo, c’è il rischio di manipolazioni: è appena stato sventato un pericoloso attentato a Marsiglia. E ora che c’è stato un attacco terroristico a pochi giorni dal voto, non potrebbe escludersi che l’ondata emotiva colmi il divario tra i candidati a favore di Le Pen. E infine quali rivelazioni scandalose possiamo attenderci negli ultimi giorni di una campagna che per molti versi ricorda quella americana, con forti rischi di interferenze russe?

Senza dubbio l’ipotesi Le Pen sarebbe disastrosa e non ci resta che sperare che, una volta tanto, la legge di Murphy non si avveri. D’altro canto, non possiamo certo dormire sonni tranquilli qualora l’alternativa sia Mélenchon. Il rischio principale, se questi saranno i candidati al ballottaggio, non è tanto quello di una fuoriuscita dall’euro (la maggior parte dei francesi è contraria e un referendum avrebbe esito negativo), ma piuttosto di un grande paese paralizzato, isolato in Europa e diviso internamente.

Già negli ultimi cinque anni l’asse franco-tedesco è rimasto tale solo sulla carta, lasciando nei fatti alla Germania la leadership solitaria in Europa. Non possiamo permetterci un “decennio perduto” per questo grande paese.

Ciò che accadrà nelle prossime settimane in Francia ci tocca da vicino, più ancora del referendum britannico e delle elezioni Usa. Innanzitutto, in Europa abbiamo bisogno di una forte leadership per uscire dalle secche in cui ci troviamo: solo grazie allo sforzo congiunto di Germania, Francia e Italia sarà, infatti, possibile rimettere mano ai Trattati e cercare un futuro per l’Unione.

Ma anche in Italia, abbiamo molto da imparare. Le analogie con la situazione francese sono molte più di quanto a prima vista possa sembrare.

Alberto Saravalle

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