Privatizzazioni: a volte ritornano
21/11/2014 di Alberto Saravalle e Carlo Stagnaro.

A volte ritornano. Non parliamo del libro di Stephen King né dell’omonimo film dell’orrore, ma delle privatizzazioni. Dopo una lunga eclissi, infatti, sembrano essere tornate nel radar del governo. È di pochi giorni fa l’annuncio dell’istituzione, presso il ministero dell’Economia, di un gruppo di lavoro in vista della quotazione del gruppo Ferrovie dello Stato, finalizzata alla cessione parziale del suo capitale. La cosa era nell’aria da tempo, ma finalmente assume concretezza e si aggiunge all’altro grande dossier aperto – sebbene ancora in fase di preparazione – relativo allo sbarco in Borsa di Poste Italiane. Sullo sfondo, rimane poi l’eterna partita sull’aggregazione e conseguente vendita (almeno parziale) delle utilities municipali, rispetto alla quale un modesto passo avanti arriva con le disposizioni della Legge di Stabilità che prevedono una serie di incentivi per i comuni che accettano di allentare il controllo sulle società partecipate (ma nessuna sanzione per quelli che non lo fanno, anche se si trovano in condizioni prossime al dissesto).

È certamente difficile esprimere un giudizio articolato sul piano di privatizzazione delle Ferrovie perché il diavolo si nasconde nei dettagli e per ora questi non sono noti, o forse ci troviamo in una fase ancora troppo preliminare persino per parlarne. Ci sono, però, delle considerazioni di ordine generale, che discendono sia dall’esperienza internazionale (e italiana) maturata nel campo negli ultimi trent’anni, sia da come si è andata evolvendo in questi mesi l’operazione Poste.

Prima di entrare nel merito, è utile ricordare che anche quest’ultima privatizzazione, come le altre possibili di cui si va parlando da un paio d’anni, nel dibattito quotidiano è motivata prevalentemente con ragioni di finanza pubblica. Il contesto generale è, infatti, segnato da una irrisolta, almeno nel breve termine, tensione sulle finanze pubbliche, in particolare sul fronte del debito, e vi è dunque l’esigenza di tranquillizzare i partner europei e i mercati sulla sostenibilità del bilancio italiano. Non è un caso che la Commissione europea, nei suoi periodici richiami al nostro paese, ponga sistematicamente il tema del debito e delle privatizzazioni.

In realtà le privatizzazioni sono cruciali per un paese come l’Italia, specie in questa fase di crisi, per varie ragioni, che vanno ben oltre l’esigenza di generare gettito e reperire risorse per ridurre il debito, o quantomeno prevenirne la crescita. Esse, infatti, implicano un ridisegno del perimetro dello Stato e, conseguentemente, una limitazione dell’interventismo pubblico in economia. Ma soprattutto, sono uno strumento per attirare capitali privati e dare una dimensione “imprenditoriale” e concorrenziale a imprese cresciute nell’alveo del monopolio pubblico, e dunque poco propense all’innovazione e all’efficienza (sebbene su entrambi i fronti, nei casi specifici di Poste e Ferrovie, siano stati fatti passi da gigante rispetto ai decenni scorsi in parte per effetto delle direttive dell’Ue e in parte per l’accresciuta concorrenza interna). In generale, comunque, dobbiamo riconoscere che nessuna di queste ragioni, presa singolarmente, è decisiva; è solo il loro combinato disposto ad assegnare a queste politiche il peso che assumono agli occhi del “resto del mondo”.

Invero, non è certo il gettito ricavabile da privatizzazioni parziali di Poste e Ferrovie, o persino dalle municipalizzate, che consentirà di ridurre significativamente il peso del nostro debito pubblico, ormai ampiamente superiore ai 2000 miliardi di euro e diretto a raggiungere il 140% del Pil. E, d’altra parte, non è ipotizzabile, almeno a breve, un piano di privatizzazioni ad ampio raggio, data la sua complessità e l’eterogeneità dei soggetti potenzialmente vendibili. I benefici che possono derivarne riguardano innanzitutto i mercati sottostanti. Per questo la Commissione non si limita a sollecitare le privatizzazioni, ma invita altresì ad adottare le misure di accompagnamento per liberalizzare i mercati di riferimento. Gli effetti però si vedranno solo col tempo. Non può, infatti, ragionevolmente pensarsi che l’apertura ulteriore di questi mercati possa attrarre capitali in misura tale da comportare significativi effetti in termini di crescita da un anno all’altro.

In cosa consiste, allora, l’importanza di questa mossa? Sta essenzialmente nella sua funzione di “signalling”: di là del suo significato concreto, la privatizzazione di Poste o Ferrovie, così come altri provvedimenti quali la riforma del mercato del lavoro o l’apertura di un nuovo fronte sul terreno delle liberalizzazioni, è un modo attraverso il quale l’Italia può dimostrare ai suoi scettici partner europei e ai mercati che qualcosa sta veramente e irreversibilmente cambiando.

Perché il messaggio arrivi forte e chiaro, e proprio perché i ricavi non saranno comunque di per sé decisivi, è importante che nelle operazioni preliminari alla quotazione non si pensi solo alla massimizzazione del gettito (come talora è stato fatto nel passato), ma anche alla creazione di un mercato concorrenziale. In altri termini, si deve evitare di trasformare monopoli pubblici in monopoli privati e replicarne così i difetti. Per questo dunque serve massima attenzione e trasparenza nell’elaborazione del progetto funzionale alla quotazione. I temi in discussione per quanto riguarda le Poste, ad esempio, sono ambito e remunerazione per la concessione, il contenuto del servizio universale, le discriminazioni dei concorrenti (come quella apprezzabilmente abolita relativa all’esenzione Iva per i soli clienti di Poste Italiane in alcuni segmenti del mercato del recapito). Analogamente per le Ferrovie è difficile affrontare il tema della privatizzazione senza contestualmente accendere un faro sui temi della separazione e terzietà della rete, le modalità di affidamento del servizio pubblico, eccetera.

Disegnare i processi di privatizzazione in modo pro-concorrenziale deve insomma essere considerata come una caratteristica qualificante della strategia italiana di uscita dalla crisi, perché è anche sulla base di questo che le istituzioni europee e i nostri partner ci giudicheranno. Fare le riforme è necessario, farle in fretta è importante, ma farle bene è indispensabile. E non si dica, come spesso fanno i molti oppositori a queste operazioni, che i tempi non sono maturi perché i corsi di borsa non sono sufficientemente alti. Data la situazione in cui versa il nostro paese, c’è piuttosto da domandarsi se i prezzi di borsa non siano elevati proprio perché queste operazioni non vengono realizzate e permane dunque un forte scetticismo sul nostro futuro.

Carlo Stagnaro e Alberto Saravalle

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