A free lunch? Alcune riforme a costo zero
26/03/2013 di Alberto Saravalle e Carlo Stagnaro.

The check is in the mail. È la frase con cui tipicamente i debitori americani si giustificano davanti alle richieste di pagamento dei propri creditori (in Italia nessuno si fiderebbe di spedire un assegno per posta). È anche nota come una delle più comuni bugie. In politica – quando si chiede come saranno finanziate le promesse di riforma – le risposte equivalenti sono: “con i tagli ai costi della politica” e “con la lotta all’evasione fiscale”.

Nella scorsa campagna elettorale, Berlusconi ha dimostrato maggiore fantasia parlando anche del fantomatico accordo con la Svizzera per la tassazione dei depositi degli italiani in quel paese con i cui proventi avrebbe rimborsato l’Imu sulla prima casa. La realtà è sempre ben diversa e si finisce per non realizzare le promesse elettorali perché costano, non ci sono fondi e non si ha il coraggio di fare tagli. Ma ci sono anche molte riforme, non controverse, che potrebbero essere attuate a costo zero o quasi.

Il tema è di grande attualità in questo momento perché, con la prospettiva di un governo a termine, sorretto da una fragile maggioranza parlamentare, magari variabile, è ben difficile che si realizzino quegli interventi strutturali di riforma della finanza pubblica che soli consentirebbero di fare nuovi investimenti, là dove sono necessari (ad es. lavoro, scuola, università, ricerca, cultura) e ridurre il carico fiscale (a partire dal cuneo fiscale e dai redditi di lavoro sulle fasce più deboli). Vediamo dunque alcune importanti riforme strutturali (oltre ovviamente a quelle istituzionali) che potrebbero essere realizzate nei prossimi mesi senza gravare le casse dello Stato.

La prima – e forse più importante – è certamente quella della giustizia civile finalizzata a disincentivare le cause pretestuose, smaltire il carico pregresso e limitare il ricorso alla Cassazione alle controversie nelle quali vi siano principi fondamentali in gioco o si renda necessaria uniformare divergenti orientamenti giurisprudenziali. Gli strumenti per intervenire sono molteplici: non possiamo dilungarci in questa sede, ma ne abbiamo scritto ripetutamente in passato. Lo stesso Vicepresidente del CSM, Michele Vietti, nel suo recente libro Facciamo giustizia ha dimostrato come potrebbero essere realizzati praticamente a costo zero. Sempre in tema di giustizia – questa volta penale – possono poi realizzarsi le riforme della prescrizione, della recente legge sulla corruzione e dei reati societari.

Un’altra riforma importante – propedeutica sia a una più corretta contabilizzazione del debito pubblico sia alle privatizzazioni da venire – è quella dei bilanci degli enti locali. Dovrebbe essere loro imposto di redigerli con i principi contabili generalmente accettati (per es. imputando i debiti per competenza e non per cassa, così da evitare le distorsioni che hanno indotto ai ritardi nei pagamenti alle imprese) e dando piena evidenza degli attivi patrimoniali, oltre a consolidare i debiti delle società controllate.

Sempre in tema di amministrazioni pubbliche, sarebbe il caso di introdurre una normativa analoga a quella in vigore nei principali paesi anglo-sassoni e scandinavi sulla trasparenza della spesa pubblica, consentendo l’accesso alla documentazione e la pubblicazione online delle spese. Un disegno di legge in questo senso è già stato presentato nei giorni scorsi da Pietro Ichino, Linda Lanzillotta e altri. La riforma potrebbe essere integrata con la costituzione di organi di audit esterno (sul modello degli Office of State Audit americani) che sostituiscano i controlli meramente formali e burocratici oggi esistenti, evidentemente inefficaci come dimostrato dai recenti scandali.

Ancora, sebbene sia un progetto di lungo termine, è necessario avviare quanto prima un processo di semplificazione legislativa, riducendo le pratiche amministrative e gli adempimenti ridondanti. Il Parlamento potrebbe quantomeno fissare i paletti della riforma con una legge delega che sarebbe realizzata dal governo in un secondo tempo.

Per quanto riguarda l’Università, in attesa di una macro-riforma anche dei sistemi di accesso alla carriera, si potrebbe cominciare eliminando il valore legale della laurea, primo passo verso un sistema più competitivo e fondato sulla meritocrazia.

C’è, poi, il grande capitolo delle liberalizzazioni. La scarsa concorrenza è responsabile dell’alto costo di molti servizi – dall’energia ai trasporti fino alle poste, e questo è per inciso un motivo per cui, a differenza che negli Usa, non spediamo gli assegni. Questo si traduce in uno svantaggio competitivo per le imprese manifatturiere italiane. Liberalizzare, in molti casi, significa semplicemente portare a compimento riforme già avviate e dare piena e sostanziale attuazione alle direttive comunitarie. Adeguarci agli obblighi Ue servirebbe anche a evitare varie procedure d’infrazione o quantomeno limitare le sanzioni che saranno irrogate all’Italia.

Le cose da fare nel breve termine, ovviamente, sono molte di più. Alcune più semplici come l’insediamento dell’Autorità dei Trasporti, altre più difficili, per il clima attuale di contrapposizione e l’instabilità governativa, come la legge sui conflitti d’interesse che, evocando il Così fan tutte, è un po’ come l’araba fenice: “che occorra ciascun lo dice, come sia nessun lo sa”. E la lista potrebbe continuare…

In attesa delle nuove elezioni e di un governo stabile che possa sciogliere i nodi della finanza pubblica e del lavoro, se si mettesse mano a queste riforme (e anche solo parzialmente realizzarle), il paese potrebbe avviarsi verso un percorso di ricostruzione non solo economica, ma anche civile. Il nostro è facile ottimismo? Forse, ma ogni tanto l’assegno arriva con la posta.

ALberto Saravalle e Carlo Stagnaro

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