I provvedimenti del Governo sulla giustizia civile vanno nella giusta direzione, ma sono ancora largamente insufficienti. Un richiamo di 400 giudici ausiliari per ridurre i procedimenti pendenti nelle Corti d’Appello, la reintroduzione della mediazione (sia pure temperata), l’ufficio del giudice, la semplificazione della motivazione e alcuni altri utili interventi minori possono far tirare il fiato ai tribunali. Purtroppo però questi provvedimenti non saranno in grado di risolvere una delle più gravi emergenze nazionali alla quale politica e operatori del settore sembrano da decenni assuefatti.
La Banca d’Italia ha stimato la perdita attribuibile alla lentezza della giustizia civile in circa 16 miliardi di euro all’anno (un punto di Pil). Il Centro studi Confindustria calcola che una riduzione di appena 50 giorni nella durata media dei processi (pari al 10%) aggiungerebbe circa 14 miliardi al Pil. Di fatto una manovra correttiva ogni anno.
Tutti gli studi di analisi economica del diritto convergono sulla conclusione che in Italia i tempi dei processi civili sono inaccettabilmente lunghi a causa di un eccesso di domanda di giustizia, a fronte di un’offerta e investimenti in linea con le medie europee. In Italia vengono iscritte a ruolo 3.958 cause per 100mila abitanti, il doppio della Germania e il 43% in più della Francia. Per dimezzare i tempi dei processi occorre raggiungere il benchmark della media dei Paesi aderenti al Consiglio d’Europa di 2.738 cause per 100mila, che equivale a una riduzione del ricorso in tribunale del 45% (2 milioni di cause in meno). A poco varranno, quindi, le riforme appena varate per smaltire l’arretrato se non si incide coraggiosamente anche su questa domanda patologica.
Perché, allora, poco o nulla è stato fatto finora? In parte perché le “parti” interessate – dagli avvocati ai giudici, anche onorari – non hanno un vero interesse a modificare lo status quo. Più in generale, è mancata una comprensione in termini “economici” del problema e si è proceduto sulla base di indimostrati (ed erronei) assunti.
La priorità è disincentivare la domanda patologica di giustizia. È questo surplus che, ingolfando i tribunali, raddoppia la durata delle cause “reali”, assorbe risorse per circa un miliardo e mezzo di euro e crea costi diretti e indiretti per svariate decine di miliardi.
I dati statistici della Banca d’Italia dimostrano che nei tribunali si trattano cause in larga parte pretestuose, spesso concentrate in talune circoscrizioni. Un esempio? Il 52% delle cause per responsabilità civile auto, nel 2010, era nel solo distretto della Corte d’Appello di Napoli. Un primo intervento dovrebbe dunque prendere di mira queste situazioni anomale, ben individuate localmente.
Occorre poi rimuovere le distorsioni che alimentano questa componente patologica. A esempio, eliminando il differenziale tra tasso d’interesse legale e tasso di mercato nelle controversie tra privati (la parte che ha ragione percepisce a fine lite interessi al 2,5%: e di fatto un prestito a un tasso molto conveniente alla parte in torto), disciplinando più puntualmente l’applicazione delle sanzioni previste per lite e resistenza temeraria e facendo sì che il soccombente paghi allo Stato anche una quota del costo gravante sulla collettività per il funzionamento della giustizia (solo in minima parte coperto dal contributo unificato).
In secondo luogo, si possono introdurre incentivi fiscali – che allo Stato costerebbero meno delle spese del giudizio – per il trasferimento delle cause in corso a procedure di risoluzione stragiudiziale. Con un meccanismo analogo alla “mediazione” fiscale, gran parte delle cause di valore modesto per sanzioni pecuniarie può definirsi con un accordo transattivo volontario che si chiude con il versamento di una quota ridotta della maggiore imposta e delle sanzioni, senza spese di riscossione. Per le altre controversie pendenti, l’ordine del giudice di effettuare la mediazione sarebbe più efficace insieme a incentivi come la deducibilità fiscale dei costi della procedura, o l’esenzione dalla tassa di registro.
Ovviamente, di riforme da fare ce ne sono moltissime altre (a partire dalla riduzione delle cause che possono accedere alla Cassazione). Bisogna però avere consapevolezza del problema e affrontarlo con interventi capaci di incidere a livello macro. Quello approvato sabato è un inizio. Occorre fare di più e presto.
Leonardo D’Urso e Alberto Saravalle – Il Sole 24 Ore 19 giugno 2013