Se torturi i numeri abbastanza a lungo confesseranno qualunque cosa. Per esempio, i dati più recenti sull’applicazione del golden power– i poteri speciali del governo sulle operazioni societarie nei settori strategici – sembrano dimostrare un assedio alle nostre imprese. Ma siamo proprio sicuri che, con la pandemia, l’Italia sia diventata terra di conquista?
Nei giorni scorsi è stata pubblicata la Relazione sulla politica dell’informazione per la sicurezza 2020 che riporta i dati sulle operazioni notificate ai sensi della predetta normativa e quelle per le quali sono stati esercitati i poteri speciali. A fronte di 341 notifiche, è stato posto il veto in una sola operazione (relativa al 5G) mentre i poteri speciali (consistenti in prescrizioni e raccomandazioni) sono stati esercitati in 37 casi (più 2 iniziati l’anno precedente). A prima vista, un salto quantico rispetto ai dati del 2019 che contava 83 notifiche e solo 13 casi in cui erano stati esercitati i poteri speciali. Per di più, nei primi due mesi del 2021, sono state già effettuate 54 notifiche.
La narrazione che si sta dunque facendo strada è quella di un paese sotto un pressante attacco dall’estero che nei mesi scorsi avrebbe riguardato principalmente gli attivi bancari. E infatti, la relazione trasmessa alle Camere a novembre 2020 dal Copasir, il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica, manifestava preoccupazione per l’acquisto del controllo di società creditizie e assicurative italiane da parte di soggetti esteri, con grave rischio per la sicurezza del Paese, in termini di indipendenza e autonomia. Oggi, nella relazione sulla politica di informazione, queste preoccupazioni si estendono anche ad altri comparti come energia, sanità e aerospazio/difesa.
La realtà, però, è diversa. Innanzitutto, se anziché considerare i numeri in valore assoluto si computa la percentuale dei casi in cui i poteri speciali sono stati esercitati si vede che il rapporto è in calo: si passa, infatti, dal 15,6% del 2019 al 10,8% del 2020.
Il fatto è che, dopo le modifiche adottate nel novembre 2019, nel corso del 2020 sono stati effettuati ulteriori interventi mirati a rafforzare il dispositivo estendendone l’ambito di applicazione. Con il decreto “liquidità” è stato, tra l’altro, introdotto un regime “temporaneo” (che doveva cessare il 31 dicembre 2020, ma che poi è stato prorogato 30 giugno 2021) che ha reso applicabile la disciplina golden power agli acquisti di partecipazioni di controllo in società che detengono asset strategici anche da parte di investitori dell’Unione europea. Inoltre è stata rafforzata la normativa anche per quanto riguarda il settore finanziario (assicurativo e creditizio). I decreti attuativi, sul piano regolamentare, adottati a fine anno completano questo percorso che mira a rendere applicabile questa disciplina in un crescente numero di casi.
I dati vanno dunque letti con attenzione. È come se, da un anno all’altro, aumentassero a dismisura le multe per eccesso di velocità in una certa via: un conto è se ciò accade perché aumenta il numero dei pirati della strada, un altro se invece la causa sta nel fatto che il limite di velocità è stato nel frattempo ridotto da 50 a 30 km/h. Per la verità, la stessa relazione sopra citata dà atto che la crescita delle notifiche è da mettere in relazione alle modifiche sul piano regolamentare. Ma neppure questo basta a spiegare la moltiplicazione per quattro del numero di notifiche.
Occorre anche mettere in conto, da un lato, l’ambiguità della normativa e, dall’altro, una prevalente interpretazione estensiva e cautelativa. La conseguenza pratica è che nel dubbio tutti notificano per evitare il rischio di sanzioni (pesanti sul piano economico ma ancor più su quello reputazionale).
Dopotutto, si allungano un po’ i tempi dell’operazione, ma ci si mette al sicuro. Anche qui i numeri parlano chiaro: nel 2020 sono ben 140 i casi in cui la normativa non è stata ritenuta applicabile al caso concreto (il 41% dei casi notificati), a dispetto della citata interpretazione estensiva (il che vuol dire che, se prevalesse un’applicazione più rigorosa e restrittiva, trattandosi di norme che limitano l’autonomia privata, probabilmente un caso su due non avrebbe dovuto essere notificato).
A rendere, poi, le cose ancora più complesse è la tendenza dei politici di minacciare, fuori dalle sedi istituzionali, il ricorso ai poteri speciali anche quando ciò non sarebbe consentito, e comunque prima che si siano avviate le istruttorie tecniche. Purtroppo, non è un problema solo italiano: il ministro francese dell’Economia, Bruno Le Maire, ha affossato con una dichiarazione l’acquisizione di Carrefour da parte della canadese Couche-Tard, mentre il nostro responsabile dello Sviluppo economico, Giancarlo Giorgetti, ha messo le mani avanti per bloccare il negoziato in corso tra Iveco e la cinese Faw.
Tutto ciò non è senza costi per il sistema: prima di tutto l’incertezza normativa può rappresentare un forte deterrente per gli investimenti esteri (di cui, invece, abbiamo tanto bisogno) e soprattutto si rischia di sottrarre l’attenzione dell’organo di controllo dai casi che effettivamente la richiedono, disperdendola in una miriade di operazioni che certamente, già a prima vista, non mettono a repentaglio la sicurezza nazionale o attivi strategici. Se si vuole controllare tutto, spesso si finisce per non controllare nulla.