Chi devo chiamare se voglio parlare con l’Europa? La nota frase attribuita (pare impropriamente) all’ex segretario di Stato Kissinger può tornare utile di questi tempi per il presidente eletto Joe Biden.
La risposta oggi dovrebbe essere inequivocabilmente una: la presidente della Commissione Von der Leyen. Senza togliere nulla al ruolo istituzionale svolto dal presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, e dall’Alto Rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, è infatti la Commissione che in questo momento esercita la maggiore spinta propulsiva e ha intrapreso una serie di sfide su cui sarebbe importante trovare subito una convergenza transatlantica.
Aprendo immediatamente il dialogo con Bruxelles, Biden darebbe un forte segnale, riportando al centro l’Ue dopo un lungo periodo in cui i giochi sono stati fatti prevalentemente dagli Stati membri più forti (Germania e Francia in primis).
La nuova amministrazione statunitense ha naturalmente già preso contatto con i principali leader al mondo. In Europa, con poche eccezioni nell’area di Visegrad, i capi di Stato e di governo hanno tirato un sospiro di sollievo per il risultato delle elezioni e si sono affrettati a congratularsi con Biden.
La presidente Von der Leyen, dopo il messaggio augurale inviato poco dopo l’annuncio dei media statunitensi che la fatidica soglia dei 270 voti era stata oltrepassata, nei giorni scorsi ha pronunciato un discorso alla conferenza annuale degli ambasciatori accreditati presso l’Ue nel quale si è dichiarata pronta a ricostruire la partnership transatlantica, fortemente indebolita dai continui scontri durante l’amministrazione Trump. In questi anni, infatti, l’Europa veniva vista da Washington più come un concorrente sul piano economico e commerciale che come un alleato e ciò ha dato luogo a una serie di accese controversie. Non è un caso che Trump abbia apertamente sostenuto le spinte disgregatrici dell’Unione, a partire dalla Brexit.
Sarebbe però un errore quello di pensare che, dopo la parentesi trumpiana, le divisioni tra Europa e Usa si ricomporranno prontamente. Sono molti, infatti, i temi su cui, da tempo, abbiamo punti di vista diversi quando addirittura non opposti. Peraltro, non di rado, Trump si è limitato a fare proprie e reiterare posizioni già espresse dall’amministrazione Obama (naturalmente, aggiungendoci del suo, ma più nei modi che nel merito).
I principali temi aperti riguardano il commercio internazionale (il rilancio dell’OMC, i dazi sull’acciaio e l’alluminio, gli altri dazi reciprocamente applicati per le sovvenzioni a Airbus e Boeing e quelli minacciati sulle auto tedesche), la sfida per la supremazia tecnologica con la Cina (soprattutto per quanto riguarda la scelta della piattaforma per il passaggio al 5G), la tassazione dei giganti del web americani e la spada di Damocle (fortemente voluta dal Commissario Breton) di una nuova politica di contenimento nei loro confronti, la transizione energetica, il trasferimento dei dati.
Anche in tema di politica estera “economica” ci sono molti nodi da sciogliere: dalla questione sempre aperta del gasdotto Nord Stream 2 (che peraltro è fonte di divisione anche all’interno dell’Europa) ai tentativi in atto di affermare una sovranità geopolitica dell’Unione smarcandosi dal tradizionale ombrello statunitense (prendendo posizioni comuni nei confronti degli investimenti esteri, contrastando gli effetti distorsivi causati dalle sovvenzioni estere nel mercato unico, accrescendo il ruolo dell’euro come moneta di riferimento, etc.).
Su tutti questi temi, la posizione di Biden difficilmente comporterà un rovesciamento di quanto abbiamo visto finora. Perfino sulla partita nella quale ci si attendono differenze più cospicue rispetto a Trump – quella del clima – gli Usa potrebbero assumere impegni più ambiziosi e certamente daranno il proprio sostegno al Trattato di Parigi, ma sarebbe ingenuo attendersi uno schiacciamento sulle posizioni europee. A maggior ragione, non possiamo aspettarci grandi cambiamenti nella difesa degli interessi americani, dalle piattaforme online allo scontro sui dazi per le sovvenzioni a Boeing e Airbus.
Ciò nonostante, Biden dimostrerebbe coraggio e lungimiranza se riconoscesse un ruolo privilegiato alla Commissione, rispetto al dialogo con gli Stati membri. Gli interlocutori, un po’ uno se li trova, e un po’ se li sceglie. Rafforzare l’Ue, facendone l’interlocutore di riferimento, darebbe un forte segnale anche in termini di ritorno al metodo del multilateralismo, dopo quattro anni in cui i rapporti economici e commerciali sono stati prevalentemente improntati in termini bilaterali, come se si trattasse sempre e solo di un gioco a somma zero. E aiuterebbe i progressi interni all’Unione, in un momento di grande e ovvia difficoltà, che non emergono solo dallo scontro plateale con Polonia e Ungheria sullo Stato di diritto.
Cosa ci guadagnerebbe Biden? Potrebbe portare a casa un risultato di breve e uno di lungo termine. Nell’immediato, dare respiro all’Ue e, in generale, al sistema multilaterale potrebbe servirgli per giocare meglio la sua partita geopolitica principale, ossia quella con la Cina.
La Ue sarebbe un alleato prezioso e un interlocutore importante, con cui giocare di sponda, anche per frenare le tentazioni degli Stati membri di allacciare rapporti bilaterali sempre più stretti con Pechino (ben 18 Stati dell’Ue hanno già firmato con Pechino un Memorandum of Understanding sulla nuova via della seta). Inoltre, permetterebbe agli Usa di contrastare le spinte isolazioniste che esistono anche in Europa: nei giorni scorsi, Emmanuel Macron ha chiesto un’accelerazione nella costruzione dell’Europa, ma l’ha slegata dal rapporto con gli Usa, liquidando la specialità delle relazioni transatlantiche come “un controsenso storico”.
Nel lungo termine, poi, Biden potrebbe dare un contributo decisivo a cambiare le sorti dell’Europa e del mondo intero. Nel presentare il programma di politica estera, ha inequivocabilmente chiarito che intende riposizionare l’America alla guida delle democrazie liberali nel nuovo ordine mondiale. Se dunque nell’immediato i vantaggi nel consolidamento del rapporto transatlantico possono essere limitati, in prospettiva si tratta di ricostruire, su basi nuove e in un mondo diverso, una relazione solida basata sulla percezione di una storia e un interesse comune, al di là delle singole issue su cui possono esserci punti di vista differenti. Nel quadro di una rinnovata alleanza strategica, anche la composizione delle attuali divergenze sarebbe infinitamente più facile.
Come direbbe Doc Brown (il mitico professore di Ritorno al futuro), i prossimi passi di Biden ci diranno se sarà un presidente che guarda al breve termine e accetta l’oggettivo ridimensionamento della funzione globale di Washington, o se invece saprà ragionare “quadridimensionalmente”.