La Terza Repubblica inizia con tutti gli uomini del Presidente?
05/04/2013 di Alberto Saravalle.

Con la nomina dei “saggi”, la politica italiana è entrata in una nuova era. I partiti, che hanno dimostrato di non riuscire più a interpretare i desiderata degli elettori, sono stati di fatto esautorati dal ruolo di laboratorio di idee e programmi. I loro leader, incapaci di trovare quei ragionevoli compromessi che è lecito attendersi da consumati politici quali essi sono, sono stati rimpiazzati dagli uomini del Presidente.

Nel vuoto di idee e di leadership, l’unico potere forte (non già in virtù di prerogative costituzionali, ma dell’autorevolezza e del rispetto degli italiani) in questo momento ha giocoforza allargato il proprio campo d’azione. Oggi lo certifica Matteo Renzi, che nell’intervista al Corriere di fatto lancia l’ultimatum (“accordo o elezioni”) e si candida a essere il primo protagonista del nuovo ciclo politico.

Qual è dunque – in questo scenario a dir poco inconsueto – la mission impossible affidata ai saggi? Non certo quella apparente di determinare il programma di un prossimo possibile governo di scopo. Sulle questioni economiche da affrontare più urgentemente (dalla soluzione del problema degli esodati alle misure per disinnescare l’aumento automatico dell’Iva a luglio, dal 21 al 22%, il cui costo per l’anno in corso è dell’ordine dei 2-3 miliardi di euro) vi è ampio consenso. Sui pagamenti della PA si è già mosso il governo in carica, anche se resta da sciogliere il nodo dell’impatto sul deficit e della contabilizzazione del debito.

Non servirebbero così autorevoli giuristi ed economisti in consesso per 10 giorni per trovare un punto d’incontro (rectius: un denominatore comune) tra i programmi economici dei principali tre partiti. Basta rileggere per il centrosinistra la Carta d’intenti della coalizione e gli 8 punti di Pierluigi Bersani, per il Pdl il programma elettorale, per il M5S l'”Agenda Grillo” per rendersi conto che i punti di convergenza tra almeno due partiti sono numerosi già sulla carta.

Del resto non è una sorpresa: le scelte di politica economica e di finanza pubblica sono dettate in larga parte dal fiscal compact e dall’ancora disattesa lettera della Bce dell’agosto 2011. La priorità e riavviare il paese, che non cresce ormai da vent’anni, su un cammino virtuoso. Un punto che trova concordi pressoché tutti, ad esempio, è la riduzione del carico fiscale: in particolare tutti chiedono, o comunque non avversano, l’abolizione dell’Irap.

Attualmente il gettito di tale imposta è pari a circa 34 miliardi di euro/ anno, di cui 20 attribuibili al settore privato e il resto al settore pubblico (cioè, sostanzialmente, equivale a una partita di giro, seppure con un effetto redistributivo rilevante tra i diversi enti e livelli di governo). La sola deducibilità del costo del lavoro dalla base imponibile Irap per il settore privato costerebbe invece circa 6,5 miliardi di euro di minor gettito l’anno.

L’Imu stessa può essere oggetto di riforme tese sia a renderne più progressivo l’effetto (in particolare alleggerendo il carico sulla prima casa e sugli immobili stumentali delle imprese), sia a lasciare interamente il gettito agli enti locali, anche al fine di ripensare radicalmente la Tares. Per finanziare queste misure servono però manovre più radicali dal lato della spesa. Anche sul tema delle liberalizzazioni, per fare un solo altro esempio, Pd e Pdl sono apparentemente in sintonia (il Pd parla di “disboscamento di società pubbliche”; il Pdl di “apertura al mercato dei settori chiusi”) e comunque vi sono le indicazioni dell’UE da rispettare.

Diversa è la situazione per quanto attiene alle riforme istituzionali. Qui non abbiamo condizionamenti esterni. Ma anche in questo caso la spending review e il furore popolare per gli sprechi della casta condizionano fortemente le scelte del prossimo governo. E così sul dimezzamento dei parlamentari e l’abolizione delle provincie tutti i tre partiti sono concordi. Resta solo da decidere con quale sistema elettorale andare al voto. Dovendo favorire la governabilità, per non trovarci in una situazione peggiore della Grecia, le opzioni sono limitate. Sebbene si sia parlato a lungo di doppio turno, la più verosimile in un sistema che oramai non è più bipolare è una legge proporzionale con un modesto premio di maggioranza, sbarramenti al 4 o 5% per evitare la proliferazione di piccoli partititi e voto di preferenza per i candidati, eventualmente ridisegnando i collegi.

Sul finanziamento pubblico ai partiti, poi, mentre Pdl e M5S sono dichiaratamente per l’abolizione, il Pd mantiene una posizione più sfumata: un ragionevole compromesso può trovarsi nella proposta di Nicola Rossi di istituire un credito d’imposta, fino a un tetto di 5.000 euro, a favore di tutte le persone fisiche che facciano donazioni alle forze politiche. Per il momento possono attendere la riforma del bicameralismo perfetto e le sempre più necessarie modifiche al titolo V della Costituzione.

A ben vedere i saggi non sono dunque necessari a trovare una mediazione sui programmi. Sono piuttosto uno strumento per far decantare la conflittualità e trovare una via d’uscita onorevole ai leader che non evidenzi troppo gli errori finora commessi. Che non sono pochi. In tal modo non saranno i leader a scendere a patti col nemico (temendo di tradire la propria base). Al contrario potranno dire di avere fatto un gesto di responsabilità nell’interesse superiore del paese. Il programma non sarà molto diverso da quello qui esposto, ma verrà presentato come uno sforzo di estrema sintesi tra posizioni difficilmente conciliabili.

E ci avvieremo verso il nuovo governo del Presidente, per poi andare a elezioni in uno scenario del tutto nuovo, nelle facce e negli argomenti. Forse la Terza Repubblica è già iniziata: Renzi sembra l’unico a essersene accorto, e sta già giocando con le nuove regole. Le sue parole indicano che il passaggio è ormai avvenuto. L’unica scelta rimasta ai politici del passato è se arrivarci per via evolutiva, oppure attraverso la rottura traumatica di una legislatura nata crepuscolare.

Carlo Stagnaro e Alberto Saravalle

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