La Ue senza leader finisce in mano alla burocrazia
30/01/2017 di Alberto Saravalle.

Il Parlamento europeo è ormai giunto oltre metà mandato e da più di due anni si è insediata la Commissione Juncker. E’ il momento di una mid-term review. In particolare, a che punto siamo nella realizzazione dell’ambizioso programma presentato a suo tempo per favorire la crescita, rilanciando gli investimenti nel mercato interno? I tre pilastri su cui si reggeva il programma – lo ricordiamo – erano: 1) Piano Juncker, 2) completamento dell’Unione Bancaria e 3) Capital Market Union. Cosa è stato realizzato in questo lasso di tempo? A prima vista, nonostante l’ingente mole di lavoro degli uffici e i reiterati annunci sui progressi fatti, non molto. Il Piano Juncker, com’è noto, è volto a mobilizzare ampie risorse destinate a finanziamenti di progetti infrastrutturali. A tal fine è stato creato un fondo europeo per gli investimenti strategici che, con l’apporto di finanziamenti BEI e fondi provenienti dal bilancio Ue, ha una dotazione iniziale di Euro 21 miliardi che, messi a garanzia dei finanziamenti con un rilevante effetto leva dovrebbero mobilizzare fondi per Euro 315 miliardi. Quest’anno si è parlato di ampliare la capacità di fuoco del Piano, portandola a oltre 500 miliardi entro il 2020. Obbiettivo che, però, sarebbe raggiunto non con l’apporto di nuove significative risorse, ma riducendo il tasso di accantonamento delle garanzie e dunque liberando più risorse che, con l’effetto leva, generano più capitale. Alchimia finanziaria? La proposta ha comunque trovato forti resistenze da parte della Germania, che è tutt’altro che favorevole a mettere a disposizione maggiori risorse. In generale, l’idea sottostante il Piano è buona, ma – oltre alle perplessità sugli effettivi importi catalizzati – non è certo che si stiano liberando effettive nuove risorse per investimenti che altrimenti non si sarebbero fatti per la maggiore rischiosità.
L’Unione bancaria era già stata istituita con il codice unico, la vigilanza della BCE sui principali gruppi creditizi, il fondo di risoluzione unico e la direttiva sul risanamento e la risoluzione degli enti creditizi. Restava da realizzare un sistema europeo di assicurazione dei depositi che proteggesse in modo uniforme i correntisti con depositi fino a Euro 100.000. Nel novembre 2015 la Commissione ha presentato una proposta assai “prudente” – per usare un eufemismo – che prevede il graduale (dovrebbe entrare a regime nel 2024!) passaggio al sistema di assicurazione unico. Anch’essa ha, però, incontrato l’ostilità della Germania.
L’Unione del mercato dei capitali, infine, fu lanciata per ovviare alla carenza di investimenti nell’Ue, soprattutto per PMI e start-up, favorendo fonti alternative di finanziamento, complementari a quelli bancari. Nel settembre 2015 la Commissione ha presentato un Piano d’azione, articolato in sei macro aree che prevedeva 33 misure. Il piano è ambizioso perché vuole disciplinare non solo i mercati dei capitali, ma anche il venture capital, il crowdfunding, la gestione patrimoniale. Più di recente, è stato esteso agli investimenti infrastrutturali sostenibili, ai piani pensionistici individuali, alle cartolarizzazioni, ecc. Vaste programme, rimasto però finora sulla carta perché, in concreto, solo raramente sono state presentate proposte al Parlamento e al Consiglio. Nella maggior parte dei casi si tratta semplicemente di relazioni, studi o comunicazioni.
Nel complesso, la pagella di mid-term non è particolarmente positiva. Siamo in una situazione di stallo dovuta a un coacervo di ragioni: i fondi mancano e gli investimenti infrastrutturali finanziati sono prudenti; la Germania – in una delicata fase pre-elettorale – è riluttante a nuove spese e soprattutto ad assumere consistenti rischi che non potrà giustificare con il proprio elettorato; la modernizzazione del mercato dei capitali sembra procedere senza un vero disegno delle priorità e rischia di disperdersi tra una miriade di provvedimenti. Tra Brexit ed elezioni in Olanda, Francia, Germania (e Italia?), gli Stati ora pensano ad altro. Il problema è che postergando le decisioni, in attesa di un fantomatico futuro momento di stabilità politica, si ritarda la soluzione dei problemi, si rallenta la crescita e si finisce per rafforzare proprio i movimenti antieuropeisti. Infine, manca una forte leadership europea che metta tutto il proprio peso dietro queste riforme facendole avanzare rapidamente. Così anche i più ambiziosi piani affogano nella burocrazia di Bruxelles. Sic transit gloria mundi.
Alberto Saravalle

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