L’elefante di Milanovic non c’è più? Non c’è da cantare vittoria
13/07/2020 di Alberto Saravalle e Carlo Stagnaro.

L’elefante della disuguaglianza è uscito dalla stanza del dibattito pubblico? L’economista Branko Milanovic, uno dei protagonisti della ricerca in questo campo, ha appena pubblicato uno studio per certi versi sorprendente sull’andamento delle disparità di reddito a livello globale durante la Grande Crisi (2008-13). Il risultato infatti contraddice quanto comunemente si sostiene: in quegli anni, i ricchi – il top 1 per cento – ha visto migliorare la propria condizione solo in misura marginale, mentre i più poveri hanno fatto importanti passi avanti. In particolare, ha continuato a crescere il reddito delle classi medie del mondo in via di sviluppo, grazie soprattutto ai progressi nelle economie asiatiche.

Al contrario, i paesi industrializzati hanno visto una sostanziale stagnazione del Pil, che ha indebolito proprio le classi più agiate. Di conseguenza, l’indice di Gini – una delle possibili misure della disuguaglianza – a livello globale è sceso da 66,4 a 61,6. Questo significa che possiamo archiviare i dibattiti sulle divaricazioni sociali (con buona pace di Thomas Piketty)? Non così in fretta.

L’indagine di Milanovic è importante non solo per il contenuto, ma anche per la sua autorevolezza. Assieme a Christoph Lakner, egli aveva pubblicato anni fa un paper sulla dinamica della disuguaglianza nei venti anni precedenti la crisi (1988-2008). Quel lavoro fu assai influente, sia perché stimolò un’intensa attività di ricerca intorno alle cause, l’estensione e gli effetti delle disparità, sia perché aprì un vasto confronto pubblico su questi temi.

Parte della sua fortuna è dovuta anche a un celebre grafico che mostrava la crescita del reddito per ciascuno scaglione sociale: in tal modo, esso evidenziava come la crescita globale avesse sì premiato i poverissimi (con l’uscita dalla povertà estrema di oltre un miliardo di individui), ma avesse soprattutto avvantaggiato i super-ricchi. Al contrario, i ceti medi delle nazioni sviluppate avevano perso terreno. Ben presto divenne noto come il grafico dell’elefante perché la distribuzione della crescita dei redditi ricordava la forma di quell’animale, con la proboscide dei paperoni tesa verso il cielo. Ecco: la versione aggiornata del grafico perde proprio la proboscide, tanto che Milanovic ha argutamente commentato su Twitter “elephant no more”, l’elefante non c’è più.

Prima di gridare vittoria e lasciarci la questione delle diseguaglianze alle spalle, dobbiamo fare tre riflessioni. Primo: il grafico dell’elefante non può essere preso per oro colato. Per esempio, c’è chi ha mostrato che l’apparente declino del ceto medio globale dopo il crollo del Muro di Berlino era in gran parte imputabile alle vicende di due regioni, cioè il Giappone e l’ex Unione Sovietica, che avevano seguito una loro peculiare traiettoria di stagnazione. Se escludiamo questi paesi dal computo, l’elefante sparisce.

Secondo: anche al di là delle questioni metodologiche, i due grafici ci dicono che le disuguaglianze sono prima aumentate durante una fase di espansione economica (nella quale, comunque, l’intera distribuzione dei redditi si è alzata) e poi si sono ridotte in un periodo di depressione e ripresa.

Terzo: lo studio di Milanovic non ci dice nulla su quello che è successo dopo la crisi né, tantomeno, su quello che sta succedendo per effetto del coronavirus. E’ probabile, per esempio, che, con la poderosa espansione che si è verificata dopo il 2013, i ricchi abbiano recuperato con gli interessi il terreno perduto.

La verità è che i dati vanno presi per quello che sono – cioè informazioni per comprendere meglio il mondo attorno a noi – e non possono essere usati alla stregua di slogan politici. La disuguaglianza è sicuramente un grande problema delle nostre società: lo era quando l’elefante tirava su la proboscide e lo è ora che, apparentemente, l’ha abbassata. Tuttavia, non tutto ciò che contribuisce a ridurre le disparità economico-sociali è di per sé positivo e desiderabile.

Altrimenti, qualche zuzzurellone potrebbe sostenere che una crisi economica globale sia un fenomeno tutto sommato auspicabile perché, in tal modo, anche i ricchi piangono! Inoltre, e più importante, non tutte le cause di disuguaglianza sono uguali: quando la disparità dipende dal merito, svolge una funzione socialmente positiva. Per esempio, Jeff Bezos e Bill Gates sono uomini ricchissimi, ma (salvo per coloro che pregiudizialmente considerano il danaro sterco del demonio) non sono biasimabili perché hanno costruito il proprio patrimonio innovando e, in ultima analisi, soddisfacendo i bisogni dei consumatori.

Il problema è che, invece, spesso le disuguaglianze derivano da redditi e patrimoni stellari ottenuti in modo iniquo (per esempio, evadendo le tasse, sfruttando posizioni di rendita, truffando il prossimo, ecc.) o sono a loro volta fonti di ingiustizia. Occorre intervenire qui, eliminando le distorsioni, applicando rigorosamente la rule of law, e utilizzando correttamente il sistema fiscale per temperare le disuguaglianze (trasferendo risorse dai “ricchi” ai “poveri”) senza far ingrippare il motore della crescita. Insomma, il nuovo grafico di Milanovic non deve farci gioire, ma riflettere: come possiamo buttare via l’acqua sporca (diseguaglianze e ingiustizie) salvando il bambino (le conquiste del capitalismo liberale)?

Alberto Saravalle e Carlo Stagnaro

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