Alberto Saravalle è candidato alla Camera dei Deputati per la Lista ‘Fare per fermare il declino’, è il numero due dopo Oscar Giannino. Si tratta di ‘un tecnico’ con un importante curriculum e una carriera che parla internazionale: infatti, è il Cofondatore di uno dei più grossi studi legali d’affari d’Italia (Studio Eredi Bonelli Pappalardo), è Docente di Diritto dell’Unione Europea, ha scritto e scrive per WSJ, FT, LE MONDE.
Molti si riempiono la bocca della scuola e dei suoi problemi. Ma pochissimi sembrano conoscerla davvero. Cosa vuol dire per lei che nell’istruzione – e anche nell’educazione – c’è il futuro del paese? E come trasformare un’enunciazione di principio in una politica concreta di sviluppo della conoscenza?
“Nella scuola c’è il futuro del paese perché lì si trasmettono le conoscenze, le capacità e le competenze che costituiscono il capitale umano indispensabile a sostenere un’economia moderna: senza capitale umano non c’è crescita, non c’è innovazione, e non c’è nemmeno produttività. I nostri ragazzi devono essere preparati ad affrontare cambiamenti velocissimi e sfide sempre nuove in tempi instabili.
In secondo luogo l’istruzione è indispensabile per creare mobilità sociale. Se uno studente non ottiene una formazione adeguata (perché, per esempio, nasce nella Regione sbagliata), ha minori speranza di qualificarsi e di esprimere il proprio talento.
La mancanza di mobilità sociale è uno fra i maggiori problemi del nostro paese: la sola medicina per consentire ai giovani, indipendentemente dalla classe di appartenenza, di salire nella scala sociale è di fornire loro una buona istruzione. Il diritto universale allo studio in Italia non è bastato a garantire a tutti i giovani pari opportunità di apprendimento: occorre ripensare in maniera profonda il nostro sistema scolastico che deve porsi due obiettivi i quali, si badi bene, non sono in contraddizione: formare bene tutti, aiutare e motivare i migliori a esprimere tutte le proprie potenzialità.
Oltre a vincere la grande sfida di una scuola moderna, bisogna anche metter mano a una quantità di problemi “di tutti i giorni”, proprio per questo urgenti. Due soli esempi:
– molte scuole italiane sono fatiscenti. In teoria ora sono arrivate anche le lavagne multimediali (che peraltro non sempre funzionano), in pratica mancano i soldi per i materiali di consumo.
Cito solo l’ennesima beffa ministeriale: l’idilliaco spot mandato in onda in favore della scuola pubblica è stato girato in una bella scuola privata. Un dichiarato voler nascondere la testa nella sabbia.
– la valorizzazione sociale dei docenti, che in un quadro di rinnovamento della scuola è a detta di tutti in tema cruciale e non può essere disgiunta da una contemporanea valorizzazione della competenza e del merito, è di là da venire. Oggi i docenti sono angariati da più parti, e sui giornali si arriva a leggere di insegnanti malmenati: e questa è una cosa intollerabile.
Del resto, e non a caso, parliamo di una delle categorie più soggette a burnout”.
Qual è il primo provvedimento da prendere per il settore dell’istruzione? Si impegna a presentarlo se sarà eletto?
“Una delle priorità è introdurre criteri per premiare il merito all’interno del corpo docente. In concreto, questo significa dare a ogni istituto la possibilità di scegliere chi assumere e chi licenziare. Inoltre, occorre consentire a ogni istituto di premiare, a livello salariale, gli insegnanti migliori. Senza buoni insegnanti non ci può essere buona formazione, e noi abbiamo uno straordinario bisogno di buoni insegnanti per migliorare la performance dei nostri studenti.
Questa necessità nasce dalla constatazione che, come rileva l’indagine OCSE-PISA 2009, la performance degli studenti italiani è ancora sotto media, anche se in risalita, e soprattutto che c’è una grande disparità tra le scuole italiane: mentre al nord (e specialmente nel Nord Ovest) abbiamo generalmente risultati in linea con i Paesi europei più virtuosi, al sud (Campania, Calabria e Sicilia) abbiamo, su competenze di base indispensabili come literacy (capacità di leggere, capire, scrivere testi) e matematica, performance pesantemente sotto media, e vicine a quelle della Turchia e della Grecia. Questo divario non è tollerabile in un Paese civile”.
Cosa invece cancellerebbe di quello che c’è? Se ne farà promotore?
Insisto sul punto precedente, affrontandolo da una diversa prospettiva. Occorre eliminare ogni centralismo decisionale nelle scelte sul corpo docente che di fatto consente di lasciare ai loro posti troppi docenti che “non danno, neppure in minima parte, il contributo da loro richiesto. Ed è necessario aumentare l’autonomia scolastica, secondo le indicazioni internazionali, e quelle di Bankitalia.
Un altro esempio: il rapporto Tuttoscuola 2011 rileva che al Sud il numero di giorno medi di malattia è doppio rispetto al Nord. Non si può andare avanti così. Aggravare le sanzioni non serve a niente. Occorre rimuovere gli ostacoli che impediscono a un preside di allontanare i docenti poco responsabili, non aggiornati o incompetenti e, per converso, è indispensabile premiare i tanti docenti che mettono nell’insegnamento tutta la loro passione e che oggi, invece, devono convivere con colleghi che non rispondono dei risultati che producono”.
Qualità e risparmi si possono coniugare nel mondo della scuola? Faccia un esempio di dove una illuminata spending review potrebbe recuperare delle risorse nel settore dell’istruzione e in cosa le reinvestirebbe per la qualità della scuola
“Il programma di Fare per Fermare il declino, non prevede ulteriori tagli alla spesa per la scuola e l’istruzione, ma è comunque possibile e doveroso distribuire meglio le risorse a disposizione. La spesa italiana per la scuola, espressa come percentuale di PIL, è infatti superiore a quella tedesca, pur senza comportare un livello di apprendimento maggiore di quello che ottengono gli studenti tedeschi. Singapore spende per studente la metà di quanto si spende in Italia, ma i risultati sono molto migliori perché le risorse vengono investite sulla qualità degli insegnanti.
La mia idea di partenza è che i risparmi non possano essere stabiliti dall’alto. Dovrebbe essere compito dei singoli istituti scolastici decidere dove e quanto risparmiare e dove e quanto reinvestire. Ogni territorio ha infatti le sue peculiarità e necessità.
Per questo motivo, vorrei affidare l’autonomia finanziaria alle scuole: ogni preside deve avere la responsabilità per il miglior utilizzo dei soldi pubblici e un margine di discrezionalità nella loro allocazione. A quel punto deciderà dove risparmiare per fare miglior uso delle risorse che ha a disposizione e attrarre un numero di studenti sufficiente a non fare fallire il proprio istituto”.
Questo articolo è stato pubblicato il 4 febbario 2013, su Tuttoscuola.com