Era un lavoro sporco, ma qualcuno doveva pur farlo. Se mettiamo in prospettiva le vicende politiche degli ultimi anni, possiamo individuare un filo rosso che, dalla lettera della Bce del 5 agosto 2011, conduce fino al qui-e-ora. Il comune denominatore di un’evoluzione certamente caotica e per molti versi insoddisfacente non sta tanto nelle “cose fatte”, ma nel modo diverso con il quale guardiamo ai problemi politici ed economici.
Un modo per rendersene conto è confrontare le prime pagine dei quotidiani di allora con quelle odierne. Facciamo un esempio. Il 25 febbraio 2011 – un venerdì di esattamente tre anni fa – a parte la cronaca internazionale (erano i giorni della guerra in Libia) tutto lo spazio politico nella prima pagina del Corriere della Sera era dedicato alle beghe tra Fini e Berlusconi. Il Sole 24 Ore parlava della stagnazione dei consumi. La Repubblica metteva l’enfasi, tra i temi italiani, sulla compravendita dei parlamentari. Il 28 febbraio 2014, cioè oggi, i temi principali sul Corriere della Sera sono il decreto Salva Roma e i progetti del governo di riformare la fiscalità (in particolare sulla casa). Stessi temi sul Sole, che in più ospita un dibattito sullo scambio tra fondi europei e riduzione del cuneo fiscale, aperto il giorno prima da Roberto Perotti. La Repubblica, infine, apre sull’appoggio del Fmi al piano Renzi.
Ovviamente un confronto puntuale non ha valore scientifico, ma siamo abbastanza persuasi che ampliare il campione non farebbe altro che confermare la nostra ipotesi di lavoro: la politica, fino al 2011, è stata dominata dal cosiddetto “teatrino”. Oggi la discussione politica è, invece, prevalentemente dibattito sulle misure economiche per far ripartire il paese. Per essere più precisi, neppure si parla più di “cosa” fare; tutti concordano che le priorità sono le riforme strutturali (lavoro, fisco, semplificazione, ecc.) e soprattutto il taglio delle tasse, finanziabile solo con la spending review. Il confronto pubblico si gioca sul “come”, sul “quanto” e sul “quando”. Cioè, su aspetti che certamente hanno una dimensione politica, ma che hanno comunque forte contenuto tecnico. Per parafrasare D’Alema, stiamo finalmente diventando un paese normale.
Questo cambiamento è molto più radicale di quanto possa apparire a prima vista. E lo è tanto più se si considera che è avvenuto “a nostra insaputa”. E’ successo perché perché gli eventi hanno preso una piega imprevista e durissima per l’Italia, ma anche perché i tre protagonisti politici di quest’ultimo triennio hanno contributo a spostare l’attenzione pubblica sulle questioni dell’economia reale. Ciascuno secondo le proprie caratteristiche, talora compiendo errori, scivoloni e magari finendo vittima di agguati parlamentari o giornalistici. Resta il fatto che hanno spostato l’attenzione del pubblico dall’esteriorità alla sostanza dei temi politici.
A Monti va dato atto di aver iniziato questo percorso e di aver impresso la svolta forse più radicale. A dispetto dell’esito poi insoddisfacente del suo governo, il professore – cominciando dal capitolo più duro, quello della riforma pensionistica – ha istantaneamente mutato il modo di ragionare delle persone. Tutti ci siamo improvvisamente trovati a fare i conti con letecnicalità, non con le intenzioni. Letta ha proseguito questo percorso, contribuendo a mettere a fuoco le giuste priorità (privatizzazioni, superamento di un rigore solo contabile, cuneo fiscale, investimenti esteri, ecc.) anche se è mancata in parte l’execution. Infine Renzi, pur avendo accentuato la connotazione politica del governo, ha mantenuto il dibattito sul terreno delle “riforme da realizzare”, presto e bene. In coerenza con questo nuovo approccio non si può che valutare positivamente la promessa di farla finita con la prassi dei decreti omnibus.
Se questa ricostruzione è corretta, allora si spiega perché lo spread è sceso e gli investimenti esteri iniziano a tornare in Italia. Certo, ci sono molti altri fattori, sia di matrice macroeconomica sia legati agli interventi della Banca centrale europea. Ma “speculatori” e “investitori” leggono i giornali, e trovano oggi una narrazione del paese per loro comprensibile, che trasmette il senso di uno sforzo politico orientato al problem solving e non più avulsa dalle questioni reali.
Carlo Stagnaro e Alberto Saravalle