Anche quest’anno molti paventano un “autunno caldo”. L’espressione, apparentemente coniata dall’allora leader socialista De Martino, è entrata ormai nel gergo comune e viene frequentemente usata a sproposito, come in questo caso. Il riferimento storico, com’è noto, è all’autunno del 1969: i sindacati, allora molto più influenti, organizzarono una serie imponente di scioperi in occasione dei rinnovi contrattuali. Questi, combinati alle agitazioni del movimento studentesco, misero in gravi difficoltà il governo e fecero proliferare diverse formazioni che, negli anni successivi, entrarono in antagonismo, sfociando in taluni casi nel terrorismo degli anni di piombo.
Nulla di tutto questo è neppure minimamente immaginabile oggi. Tanto per cominciare, il sindacato è in forte difficoltà: non trova più una sponda nei partiti di sinistra (al contrario, su molti temi, a partire dalla scuola e dal Jobs act, è entrato in conflitto proprio con il Pd) ed è costretto a giocare in difesa. Le spinte modernizzatrici all’interno delle organizzazioni dei lavoratori si scontrano con una forte resistenza e con la costante tentazione della “discesa in campo” dei capi sindacali. L’opposizione è frammentata. Il M5S non riesce ad andare oltre le sterili polemiche. Il centro-destra non solo non è in grado di esprimere un’alternativa credibile in termini di leadership, ma non ha neppure una Weltanschauung, dal momento che Renzi ha ormai “scippato” molte delle battaglie che Berlusconi è stato incapace di realizzare nei numerosi anni al potere. All’orizzonte c’è solo una minaccia di serrata che – a dir di Salvini – dovrebbe bloccare il paese e dare una spallata al governo. In realtà, è già stata bocciata tanto da Forza Italia quanto dal M5S ed è stata irrisa, come una boutade, dal premier nella sua intervista al Corriere della Sera di domenica: “Voglio proprio vedere quanti imprenditori del Nord-Est fermeranno le aziende per la serrata della Lega”.
E allora? La verità è che il governo, checché se ne dica pensando a sondaggi virtuali, è quanto mai solido. Del resto, questo è l’unico governo da alcuni anni a questa parte che affronta l’autunno per la seconda volta, senza essere travolto da crisi estemporanee (come Berlusconi nel 2011), e con la ragionevole aspettativa di essere ancora al suo posto il prossimo anno. L’unica seria minaccia è paradossalmente la minoranza interna del Pd che, però, finora ha mostrato di abbaiare molto più che mordere. Certo ci sono le partite in corso in Parlamento per l’attuazione delle riforme annunciate, ma da questo a dire che ci aspetta un autunno caldo (o anche solo tiepido) vi è di mezzo il mare. Talune di queste partite (la riforma del Senato, la legge sulla concorrenza) sono state intraprese da tempo e hanno già affrontato dei voti in aula o in commissione. Ci verrebbe da dire che questo è il normale gioco della democrazia. Renzi ha voluto la bicicletta (anzi se l’è presa) e quindi è normale che debba pedalare, in autunno come nelle altre stagioni.
L’unica vera battaglia che attende il governo in autunno è la legge di stabilità, ma si tratta di fisiologia, non patologia. Da anni ormai è questo l’appuntamento più importante non solo perché delinea in concreto la politica di bilancio (e dunque la politica economica in generale) dell’anno a venire, ma anche e soprattutto perché è sottoposta ad attenta verifica per il rispetto dei vincoli europei. Per un paese come il nostro che vive sempre nella zona d’ombra tra il rispetto formale e quello sostanziale delle regole di Bruxelles, è questo dunque il momento della verità. A differenza di quanto avvenne nel vero autunno caldo, però, non c’è contrasto tra una parte del paese e il governo, ma casomai si riscontra la difficoltà di quest’ultimo a realizzare quanto si propone e superare le resistenze alle riforme in Parlamento e all’interno della stessa maggioranza (che si tratti di spending review, di taglio delle tasse, di riforma della Costituzione, di riduzione delle partecipate pubbliche, ecc.).
In definitiva, ci sembra che questi richiami all’autunno caldo si ripetano sempre uguali a se stessi: l’anno scorso se ne parlava a proposito dello scontro sul Jobs act. Appaiono dunque in parte wishful thinking di chi, sotto le mentite spoglie della preoccupazione per l’arresto dell’azione di governo, spera in realtà in un passo falso di Renzi; e in parte possono essere annoverati tra i tanti luoghi comuni. Non ci sono più le mezze stagioni, Venezia è più bella d’inverno, le nevicate di oggi non sono più come quelle di una volta e, adesso, arriva l’autunno caldo.
Alberto Saravalle e Carlo Stagnaro