Non si combatte la concorrenza sleale (cinese) con il sovranismo europeista
16/07/2020 di Alberto Saravalle e Carlo Stagnaro.

Tanto tuonò che piovve. Per anni gli Stati membri – Francia e Germania in testa – hanno chiesto alla Commissione europea di assumere una posizione più assertiva nei confronti delle imprese di Stati terzi (leggasi Cina) che, approfittando delle sovvenzioni nei Paesi d’origine, entrano a condizioni di favore nel mercato interno e fanno concorrenza sleale alle aziende europee. Il problema è potenzialmente molto serio, ma la risposta rischia non solo di non risolverlo, ma addirittura di crearne di nuovi. Infatti, il Libro bianco in consultazione fino al 23 settembre non fornisce un’analisi quantitativa della situazione, e sostanzialmente chiede “pieni poteri” in materia di investimenti esteri.

Dei sussidi stranieri si parla spesso, ma raramente se ne fornisce evidenza. Così, per esempio, quando la Commissione bloccò la fusione tra Alstom e Siemens, Parigi e Berlino protestarono vivacemente perché si impediva la nascita di un “campione europeo” in grado di competere con China Railway Construction Corporation (CRCC) che, a loro avviso, poteva beneficiare di ampi sussidi in patria. Il Libro Bianco dunque avrebbe potuto divenire l’occasione per produrre dati economici e documentare l’effettiva esistenza, la rilevanza e l’estensione delle distorsioni lamentate. Invece, così non è stato: non viene fornito alcun dato, alcun esempio, alcun caso concreto.

Sorge allora il dubbio che più che promuovere la concorrenza, queste misure vogliano proteggere le imprese europee. Insomma, in un’epoca contrassegnata dal nazionalismo economico, anche l’Ue sembra voler giocare la propria partita sul piano geopolitico. Non a caso, negli ultimi tempi si sono  moltiplicati gli inviti a stabilire una sovranità tecnologica europea, le richieste di allentare i vincoli della concorrenza, le forti prese di posizione sul digitale contro gli unicorn statunitensi, ecc.. Insomma, al sovranismo nazionale si cerca di rispondere col nazionalismo europeista.

Il documento individua quattro situazioni meritevoli di tutela: (i) sussidi a qualsiasi titolo erogati da Stati stranieri, a società stabilite o operanti nell’Ue, suscettibili di creare distorsioni nel mercato interno; (ii) sussidi di Stati stranieri che facilitino l’acquisizione di imprese in Ue; (iii) sussidi stranieri distorsivi delle procedure per gli appalti pubblici; e (iv) sussidi stranieri nel contesto dei finanziamenti europei. Si ipotizzano delle procedure, per lo più in due fasi, che vaglino l’esistenza e la natura distorsiva dei sussidi, all’esito delle quali possono essere decise, a seconda dei casi, delle misure idonee a ripristinare la parità di condizioni (cessioni di beni, proibizione di effettuare certi investimenti, divieti di porre in essere talune condotte, obblighi di disclosure, pagamenti a favore dell’Ue o di alcuni Stati, esclusione dalla procedura di appalto, ecc.).

Tutte queste misure lasciano ampissimi spazi di discrezionalità in un’area per definizione grigia, nella quale cioè è molto difficile determinare se effettivamente siano state erogate delle sovvenzioni senza la possibilità di svolgere delle indagini nello Stato di origine. Ciò consente di prendere decisioni politiche (influenzate dalla nazionalità della società) o di politica industriale (volte a favorire le imprese europee a scapito delle regole di concorrenza). Il che sicuramente aprirà le porte ad accesi contenziosi con gli Stati Uniti oltre che con la Cina, se non altro perché il sistema americano è più trasparente. In un periodo di recessione globale, con una Guerra commerciale in atto tra Washington e Pechino, non è il massimo inaugurare un nuovo terreno di scontro.

 Inoltre, questi nuovi controlli si aggiungono a numerosi altri strumenti già previsti dal diritto Ue o dagli accordi di cui l’Unione è parte: il regolamento sulle concentrazioni (che disciplina acquisizioni, fusioni e joint venture al di sopra di una certa soglia di rilevanza), le altre regole di concorrenza (divieto di intese, abuso di posizione dominante, aiuti di stato), le regole sugli appalti pubblici, la disciplina del WTO su sussidi e dazi compensativi, la nuova regolamentazione introdotta dal Quadro europeo per il controllo degli investimenti esteri, gli accordi bilaterali, ecc.  Così una società straniera che intende acquisirne una europea potrebbe trovarsi esposta a una pluralità di controlli, tutti indipendenti gli uni dagli altri (lo stesso libro bianco ipotizza che siano contestualmente applicabili sia le regole sui sussidi sia quelle sulle acquisizioni), cui poi se ne aggiungono altri ancora a livello nazionale. Una vera giungla da cui è difficile districarsi che certo non agevola gli investimenti diretti, che in pubblico si criticano, ma in privato tutti gli Stati cercano disperatamente.

 Infine, pare singolare muoversi oggi per stigmatizzare gli aiuti erogati da Stati stranieri, in un momento in cui la stessa Unione ha avallato migliaia di miliardi di sussidi per ricapitalizzare e salvare le imprese colpite dalla crisi causata dal Covid-19. E’ vero che le esenzioni Ue sono concesse in via temporanea, ma si sa che poi ci sono le proroghe e comunque il gioco della concorrenza è stato falsato. Nella migliore delle ipotesi, ci vorranno anni per ripristinare condizioni di effettiva contendibilità nel controllo delle imprese europee. Possiamo noi alzare il dito, proprio quando ci siamo adeguati al “così fan tutti”?

Alberto Saravalle e Carlo Stagnaro

Il Foglio, 16 luglio 2020

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