La vittoria di Renzi alle primarie del Pd è un “game changer” per la politica italiana. O, almeno, può esserlo. Non solo per il suo partito, e di riflesso per i principali rivali, ma anche per la galassia di movimenti che si riconoscono nei principi “liberal-democratici”. Parliamo, innanzitutto di Scelta Civica, che ha ritrovato, sotto la guida di Stefania Giannini, una propria coesione dopo la fuoriuscita della componente democristiana; di Fare per Fermare il declino, oggi impegnata in un processo di aggregazione con prospettive di ulteriori aperture (a partire dall’evento di sabato prossimo); di Ali che, nata da una costola di Fare, ha fatto il suo debutto in un convegno di grande successo, al quale hanno partecipato figure rappresentative anche di altri mondi; e di altre realtà minori, ma sicuramente significative sul piano intellettuale.
Dopo le elezioni del febbraio scorso, tali liste, visti il deludente risultato di Scelta Civica e la sconfitta di Fare per Fermare il declino, sembravano destinate a sparire dai sondaggi. In realtà, i “liberal-democratici” hanno continuato a offrire una lettura coerente della crisi italiana e delle possibili terapie di risanamento del paese. La loro vivacità intellettuale ne ha fatto uno schieramento capace di sfornare proposte realiste e al tempo stesso radicali – due caratteristiche che non sempre è facile coniugare. Il programma elettorale di Fare ne è stato un buon esempio (per trasparenza: abbiamo collaborato alla sua redazione). Inoltre, non poche di queste proposte trovano l’ideale condivisione di una fetta della popolazione che forse non è maggioritaria, ma sicuramente non è irrilevante.
In questi mesi i portatori di queste idee e valori non sono riusciti a “contaminare” i partiti maggiori e, pertanto, sono rimasti in una posizione autonoma, guardando con preoccupazione alle evoluzioni dello scenario politico finora assai polarizzato. Da un lato, un Pd concentrato sulla corsa alla segreteria e sofferente per l’esperienza grande-coalizionista, dall’altro un centrodestra confuso e anch’esso diviso, dall’altro ancora il populismo grillinoche, dopo il VDay di Genova, ha imboccato una strada dichiaratamente anti-europea, al pari della Lega.
La vittoria a piene mani del sindaco di Firenze può cambiare finalmente le cose. Pertanto le sue prossime mosse devono essere valutate con attenzione e in modo scevro da pregiudizi ideologici. Nel Pd, Renzi può portare certamente una ventata di novità positiva, e molte idee del suo principale consigliere economico, Yoram Gutgeld, appaiono ragionevoli. La prima intervista del nuovo responsabile economico, Filippo Taddei, è incoraggiante. E’, tuttavia, indubbio che la massa del partito appaia ancora fondamentalmente refrattaria a una politica di liberalizzazioni, privatizzazioni e tagli di spesa e di tasse coraggiosa. Siamo dinanzi a un’incognita positiva: il nuovo segretario somiglierà di più al Mister Matteo, irriverente e a suo modo rivoluzionario, delle primarie 2012, che aveva sposato un programma affine a quello dei “liberal-democratici”, oppure al Dottor Renzi, con posizioni più annacquate e non prive di tinte populiste, delle ultime settimane?
L’insistenza su un Pd “non più schiavo dei sindacati” fa ben sperare; il cerchiobottismo sulle privatizzazioni, meno. Lo vedremo: certo, se Renzi effettivamente imprimesse al Pd una svolta “blairiana“, come si è augurato Bill Emmott sul Financial Times, sarebbe un salto quantico per il partito, per i suoi avversari e per tutta la politica italiana. Un salto rispetto al quale i “liberal-democratici” non potrebbero restare indifferenti.
Non potrebbero ignorarlo anche perché, a destra, la strada è per ora sbarrata. A dispetto della retorica, Berlusconi ha dimostrato negli ultimi 20 anni di essere esattamente il contrario di quello che dice. Anzi, come mostra questa bella infografica di Giorgio Arfaras, la scellerata politica di bilancio del centrodestra ha responsabilità pesantissime nella condizione disastrosa dei conti pubblici. Quanto al Nuovo Centro Destra di Alfano, resta ancora da vedere quale effettiva autonomia abbia rispetto ai cugini di Forza Italia. Del resto, non vale neppure la pena parlarne: il Movimento 5 Stelle è (e vuole essere) del tutto incompatibile coi principi di mercato. La sua visione è intrisa di protezionismo, sfiducia verso il privato e forti tinte anti-immigrazione. La rivolta dei “Forconi”, che declina alcune comprensibili rivendicazioni anti-burocratiche e anti-fiscali con una diagnosi profondamente sbagliata, rischia di saldare socialmente ed elettoralmente tali fughe dalla realtà.
Ovviamente è ancora presto per immaginare le evoluzioni dello scenario politico. Non è, però, da escludere che Renzi – impegnato nella mission impossible di cambiare pelle al Pd – sia sensibile al tipo di contributo di idee e programmi che può venire da un rapporto più stretto, di reciproco rispetto, con il mondo “liberal-democatico”. Se così non fosse, ovviamente, non ci sarebbe altra strada che mantenere la propria identità in attesa di mutamenti significativi altrove.
In ogni caso, quale che sia la prospettiva, è indubbio che finché l’arcipelago “liberal-democratico” non troverà un denominatore comune, difficilmente riuscirà a offrire rappresentatività a quel pezzo d’Italia che si riconosce in quei valori e soprattutto in quelle ricette economiche. Da un punto di vista dei contenuti, le differenze tra i vari soggetti che gravitano in quest’area sono inesistenti o marginali. A volte, per colpire uniti bisogna anche fare il sacrificio di marciare uniti. O almeno di stare a bordo campo senza mettersi i bastoni tra le ruote.
Carlo Stagnaro e Alberto Saravalle