Le molteplici risposte alla crisi pandemica (non solo il Next Generation EU, ma anche gli interventi della Bce, l’attivazione della clausola di salvaguardia in relazione al Patto di stabilità e crescita, il Sure, la nuova linea di credito di sostegno alla pandemia prevista dal Mes, i finanziamenti della Bei, il quadro temporaneo in materia di aiuti di Stato) hanno generato – specie dopo il Consiglio europeo del 17-21 luglio – grandi speranze. Hanno inoltre contribuito a far passare una narrazione diversa dell’Ue che sembra avere contrastato efficacemente il sentiment antieuropeo così diffuso negli ultimi anni.
La partita però non si è ancora conclusa. Il dibattito tra Parlamento e Consiglio, relativo alle misure di attuazione, è ancora animato. Tra i temi caldi che più ci interessano in questa sede c’è, in particolare, il rispetto della c.d. rule of law da parte degli Stati beneficiari dei fondi. Nelle scorse settimane, infatti, la presidenza tedesca ha riportato in discussione la proposta di Regolamento per tutelare gli interessi finanziari dell’Unione dal rischio di perdite finanziarie causate da carenze generalizzate riguardanti lo stato di diritto in uno Stato membro. Resta da vedere come verrà risolto l’impasse con gli Stati dell’est che vi si oppongono. Certamente è una decisione suscettibile di lasciare il segno perché, come ha giustamente recentemente scritto uno dei nostri ospiti, il prof. Fabbrini, questa è per l’Europa una questione identitaria.
In questa sede tuttavia, cercheremo di guardare più in là dell’immediato per interrogarci su quali sfide attendano l’Ue nei prossimi anni. Più precisamente, da dove riparte il processo di integrazione che ha trovato nuova vitalità alla luce delle decisioni assunte negli ultimi mesi. Abbiamo numerosi illustri ospiti, a partire dal commissario Gentiloni, che ci daranno la loro autorevole opinione. In via preliminare, a me pare che le partite in gioco siano essenzialmente tre: (i) il completamento o (per usare una terminologia della Commissione) l’approfondimento dell’Uem, (ii) la ridefinizione della missione e delle priorità dell’Ue cui si accompagna la possibile revisione dei Trattati e (iii) il riposizionamento geopolitico dell’Ue.
Sul completamento dell’Uem, data la presenza del Commissario Gentiloni, non vorrei dilungarmi. Mi limito a ricordare la pubblica consultazione sulle regole fiscali in Europa (Patto di stabilità, squilibri macroeconomici e sorveglianza multilaterale) che auspicabilmente dovrebbe condurre a sostituire le regole attuali senza soluzione di continuità al momento in cui cesserà l’applicazione della clausola di salvaguardia. Resta poi da completare l’Unione bancaria risolvendo l’annosa questione dell’Edis, lo schema di garanzia europeo sui depositi. E infine la creazione di una adeguata funzione di bilancio per l’eurozona (non solo per stabilizzare eventuali squilibri macroeconomici).
La seconda partita – non meno importante – comporta in qualche modo una ridefinizione identitaria dell’Unione. In altri termini, cosa vuole essere l’Ue e di quali strumenti avvalersi per perseguire quel fine. Ricordiamo che nel Libro bianco del 2017, la Commissione aveva disegnato cinque possibili scenari (avanti così, solo il mercato unico, chi vuole fa di più, fare meno in modo più efficiente, fare molto di più insieme).
Già nel marzo 2019 il presidente Macron, nel suo appello per un rinascimento europeo, aveva lanciato l’idea di una Conferenza per proporre i cambiamenti necessari ai trattati. In vista dell’instaurazione della nuova Commissione, l’allora candidata presidente Von Der Leyen riprese l’idea di una Conferenza sul futuro dell’Europa che fu poi anche inserita tra gli orientamenti politici 2019-24. A ciò infine fece seguito un non paper franco-tedesco. La Conferenza (secondo gli auspici iniziali) avrebbe dovuto aprirsi entro il 2020 (durante la presidenza tedesca) e concludersi nell’arco di un biennio (con la presidenza francese). L’idea sottostante è di aprire un ampio dibattito sull’Unione che coinvolga tutti gli stakeholders (cittadini di ogni estrazione, rappresentanti della società civile e parti interessate a livello europeo, nazionale, regionale e locale) con l’effetto di giungere a conclusioni largamente condivise e dunque di riavvicinare le istituzioni alle persone (contribuendo così a modificare la narrazione di un’Europa dei governi distante dalle esigenze reali dei cittadini). Dovrebbe anche – aggiungo io – contribuire a chiarire quale sia il modello di Unione tra quelli disegnati dalla Commissione nel 2017.
Accanto alle questioni più generali (individuate nelle priorità politiche della Commissione e nell’agenda strategica del Consiglio europeo), un filone dei lavori dovrebbe riguarda-re i processi di democrazia interna e istituzionali. Finora si è parlato di modifiche, tutto sommato, poco significative per i cittadini europei (le modalità di nomina del presidente della Commissione, le liste transnazionali per le elezioni al Parlamento europeo). Potrebbe, però, anche essere l’occasione per rimettere veramente mano ai Trattati (anche se non tutti gli Stati sembrano essere d’accordo), per esempio, riducendo le materie per le quali è ancora richiesto il voto all’unanimità (in modo da consentire importanti progressi per l’armonizzazione fiscale), ampliando le competenze dell’Unione in materia sanitaria e sociale (alla luce delle esperienze di questi ultimi mesi), incorporando Mes e Fiscal Compact nel diritto Ue, rafforzando la partecipazione del Parlamento europeo e dei Parlamenti nazionali ai processi decisionali, dando più voce ai cittadini europei, ecc..
Finora, per la verità, non si sono fatti molti progressi, in parte perché le priorità erano altre (la risposta alla crisi pande-mica) e in parte per questioni procedurali e di governance del processo (oltre che per la designazione del presidente). Sembrerebbe che però ora si sia pronti a partire e questo sarebbe certamente un ottimo segno.
Infine, la terza importante partita riguarda il ruolo dell’Europa nel mondo. Fin dal suo discorso programmatico, la presidente Von Der Leyen ha accennato alla necessità di riaffermare la sovranità tecnologica dell’Unione. In questi ultimi tempi di-verse misure volte ad assumere un ruolo più determinato nel nuovo ordine economico internazionale sono state adottate o hanno iniziato a formare oggetto di dibattito. Per esempio da poche settimane è entrato in vigore il nuovo quadro per il controllo degli investimenti, mentre è in atto una consultazione per contrastare le distorsioni nel mercato unico causate dalle sovvenzioni dei Paesi terzi. Il problema è trovare un punto di equilibrio tra le legittime esigenze di protezione degli interessi europei e le pulsioni verso un neo nazionalismo europeista suscettibile solo di aumentare la conflittualità internazionale soprattutto con Usa e Cina.
Il momento è propizio e, come indicato in una ormai abusata frase attribuita a Rahm Emanuel (già capo di gabinetto di Obama e quindi sindaco di Chicago), non possiamo permetterci di sprecare la crisi (da Covid) per far ripartire il processo di integrazione su nuove basi. L’Europa ha dimostrato di esserci quando veramente serve, ma per continuare a esserci (non solo nell’emergenza) deve essere più adeguata al mondo di oggi e cambiare definitivamente la propria narrazione. Serve un’Europa più efficace, più democratica e più influente.
da “L’Europa al bivio dopo lo shock”, a cura di Simone Disegni, Le Monografie di ResetDOC, (con contributi di Amato, Amendola, Basso, Bosetti, Dassù, Fabbrini, Fubini, Garton Ash, Guetta, Islam, Sapir, Saravalle, Schmidt) liberamente scaricabile al seguente indirizzo https://www.reset.it/wp-content/uploads/2020/12/ResetDoc_LEuropa-al-bivio-dopo-lo-shock_IT.pdf