Nella bozza di Piano nazionale di ripresa e resilienza, la parola “concorrenza” compare solo tre volte: la prima sulle reti in fibra, la seconda in merito alla competizione dei nostri porti con quelli del Nord Africa. Solo alla fine di pagina 15, in poche righe, la “promozione della concorrenza” viene messa in relazione con la competitività delle imprese. Viene inoltre annunciata “una riforma delle concessioni statali che garantirà maggiore trasparenza e un corretto equilibrio fra l’interesse pubblico e privato, nonché il costante miglioramento del servizio per gli utenti”. Ripensare l’asse riformista del Pnrr in senso pro-concorrenziale sarà una delle sfide più complesse per Mario Draghi. Le forze rappresentate in Parlamento sono perlopiù ostili alle liberalizzazioni. Abbiamo addirittura costretto la Commissione europea, in piena pandemia, ad aprire un’infrazione per la proroga al 2033 delle concessioni balneari, mentre i rapporti sono tesissimi su dossier come Alitalia. Ci sono, però, almeno tre fronti su cui il nuovo governo può offrire una discontinuità sostanziale e simbolica. Il primo riguarda quelle iniziative che potremmo chiamare segnaletiche. Per esempio, ci sono settori – le telecomunicazioni, l’energia, le poste, l’alta velocità – nei quali la concorrenza è ormai un dato acquisito. Tuttavia, mancano provvedimenti attuativi di norme già approvate (è il caso della liberalizzazione dei mercati elettrico e gas) oppure sono in atto grandi cambiamenti (la partita sulle reti di telecomunicazione). Ecco: qui è importante agevolare i mercati in senso sistematicamente pro-concorrenziale. La digitalizzazione dell’economia è il secondo fronte. Pur essendo un asse fondamentale di Next Generation Eu, essa implica anche trasformazioni talvolta dolorose. Nel passato i governi hanno reagito in modo protettivo: si pensi alla regolamentazione del lavoro con le piattaforme, alle misure che direttamente o indirettamente disincentivano l’e-commerce, alla webtax. Spesso, la via maestra per promuovere la concorrenza viene dalle semplificazioni. Per esempio, facilitare le procedure di identificazione da remoto potrebbe alleggerire il peso delle procedure antiriciclaggio in molti ambiti (come i sistemi di pagamento) senza indebolirne l’efficacia. Anche il codice degli appalti andrebbe semplificato, per allargare la partecipazione ai bandi. Resta, da ultimo, l’elefante nella stanza: cioè la galassia delle attività in regime di concessione. Dai servizi pubblici locali fino alle autostrade, il nostro paese è tempestato di richieste di intervento da parte della Commissione, nel senso di rispettare gli obblighi di gara, ridurre la proliferazione delle imprese pubbliche e aumentare la trasparenza. Si tratta, in buona parte, di riforme complesse, che richiedono lunghi tempi e sono politicamente controverse. Sarebbe quindi ingenuo aspettarsi la rivoluzione. Il nuovo Pnrr può, tuttavia, garantire che almeno nei settori più avanzati (per esempio le gare per la distribuzione locale del gas) si vada fino in fondo. Sarebbe un bel segno di discontinuità anche rimettere subito in pista la legge sulla concorrenza, approfittando del periodo di “luna di miele” che sarà concesso al nuovo governo, magari concentrandosi su interventi circoscritti che non richiedono grande lavoro in sede di attuazione. Le riforme a costo zero sono il prezzo per ottenere agibilità sui fatidici 209 miliardi: in qualunque altro paese, sarebbe una situazione win-win.