Ieri su Twitter ho invitato gli elettori che pensano di astenersi ad andare a votare, e a contribuire al cambiamento che tutti auspichiamo. Così, è successo che mi ritrovassi a scambiare messaggi con una persona sconosciuta, e a dirle che non votare oggi significa arrendersi e rinunciare in partenza a dare il proprio contributo. Questo, di fatto, equivale a votare per coloro che hanno portato il paese in questa drammatica situazione.
Il mio interlocutore inizialmente mi ha confessato di sentirsi “invisibile”. Poi ha iniziato a chiedere spiegazioni sui programmi, entrando nel merito di alcune nostre proposte. Questo mi ha fatto sentire meglio, non perché forse voterà per noi, ma perché mi addolora sapere che un cittadino italiano può sentirsi impotente a fare qualcosa per cambiare.
La realtà è che oggi le persone in questa situazione sono molte. I dati sul potenziale astensionismo lo dimostrano inequivocabilmente. Decenni di mala politica ci hanno portato ad una sfiducia totale sulla possibilità di riformare il sistema, e questo è un male.
Negli Stati Uniti si dice spesso che ognuno può fare la differenza: non siamo semplici comparse, ma cittadini. Ognuno può e deve prendere una posizione (“to make a stand”). In questo sta il valore della democrazia. Se quel 30% di indecisi o potenziali astenuti votasse il 24/25 febbraio, dicendo basta a chi ha governato finora, a chi cerca di affermarsi con promesse elettorali facili e strumentali (magari cambiandole da un giorno all’altro), potrebbe fare la differenza. Il partito degli astenuti e degli indecisi è forse il primo partito, secondo i sondaggi. Pensateci. Parlatene.