Un codice degli affari per sentirci europei
30/05/2016 di Alberto Saravalle.

La crisi dell’Unione economica e monetaria ha molte cause. È vero che è nata con un vizio all’origine dal momento che non ha tenuto adeguatamente conto dei rischi del mancato coordinamento delle politiche fiscali e strutturali tra i Paesi dell’euro. Ma è anche vero che non è stata accompagnata dalle riforme per completare il mercato interno sul piano finanziario. Solo tardivamente si è iniziato a mettere mano all’Unione bancaria, all’unione del mercato dei capitali, al sistema di garanzia unica per i depositi. La fragilità della costruzione monetaria dipende però anche dall’assenza di comuni fondamenta sul piano del diritto degli affari che rendano più coesa l’eurozona. Occorre uniformare le regole del gioco, in modo da facilitare le operazioni transfrontaliere, facendo sì che esse stesse divengano un ulteriore fattore di convergenza.

Per ovviare al problema, si sta facendo strada l’idea di un progetto di Codice europeo del diritto degli affari. Si dirà che per ravvicinare le legislazioni europee già esiste un ampio corpus di direttive adottate dall’Unione negli ultimi 30 anni. È vero ma non è sufficiente. Prima di lanciare quest’ambizioso programma si è proceduto alla catalogazione dell’acquis communautaire. Se n’è occupato un team di giuristi sotto l’egida della Association Henri Capitant, che ha redatto un inventario della legislazione secondaria in materia. I risultati evidenziano come, da un punto di vista formale, la disciplina adottata sia poco accessibile e fruibile. Inoltre, trattandosi per lo più di competenze concorrenti tra l’Unione e gli Stati membri, questi ultimi hanno spesso frenato la spinta uniformatrice. Sul piano sostanziale, la disciplina finora adottata è apparsa molto eterogenea: ricca in certi settori e frammentaria in altri. Prevale, per esempio, la regolamentazione in campo finanziario rispetto a quella delle operazioni commerciali e societarie.

La conclusione è che per superare queste difficoltà sia utile redigere un Codice europeo del diritto degli affari, organizzato per tematiche, che innanzitutto recensisca e codifichi l’acquis e quindi divenga esso stesso strumento di uniformazione del diritto. L’idea è di partire dalle materie più vicine alle esigenze delle imprese: diritto societario, garanzie reali, procedure concorsuali, contratti di assicurazione, contratti di credito. Per quanto il progetto possa apparire molto ambizioso, i precedenti non mancano. Si pensi al Codice adottato da diciassette paesi dell’Africa Occidentale e Centrale per promuovere la crescita economica della regione, nell’ambito dell’Organisation pour l’Harmonisation en Afrique du Droit des Affaires, cui il progetto s’ispira, ma anche all’Uniform Commercial Code adottato negli anni 50 negli Usa per uniformare la disciplina delle operazioni commerciali.

L’auspicio è che il progetto trovi ampio sostegno dai molteplici operatori interessati a una semplificazione e uniformazione del diritto degli affari in Europa: piccole e medie imprese, organizzazioni industriali di categoria, sindacati, avvocati, società di revisione. Dovrebbe divenire un elemento di aggregazione dell’eurozona, consentendo di avanzare nella costruzione della casa europea partendo dalle esigenze reali degli operatori del mercato. Un po’ come è avvenuto a cavallo degli anni 80 e 90 quando fu lanciata l’idea di completare entro il 1992 il mercato interno con l’adozione di 300 direttive che avrebbero consentito di abbattere le barriere fisiche, regolatorie e fiscali che ancora ostavano.

Per realizzarlo la strada da percorrere è una cooperazione rafforzata, ovvero un progetto limitato a pochi Stati che consenta loro di procedere rapidamente a un’integrazione più stretta, evitando di essere bloccati da altri Paesi che non sono interessati far parte dell’iniziativa ma che potrebbero aderirvi in seguito. L’autorizzazione a procedere deve essere concessa dal Consiglio, su proposta della Commissione e previa approvazione del Parlamento europeo, per assicurarne la conformità al diritto dell’Ue. In alternativa si potrebbe pensare a una convenzione esterna ai Trattati Ue, ma suscettibile di essere trasposta in un secondo tempo nell’ambito del diritto dell’Unione. Il progetto, per ora, è stato oggetto di discussione solo in Francia e Germania, prevalentemente in ambito accademico e governativo, ma è stato rappresentato anche agli ordini professionali, alle rispettive associazioni industriali e, sia pure informalmente, alla Commissione. Siamo ancora in una fase preliminare e, se l’Italia decidesse di aderirvi, potrebbe assumere assieme a Francia e Germania una posizione di leadership, suscettibile di trainare gli altri paesi (almeno quelli del nocciolo duro dell’Eurozona) in questa grande sfida.

Per far progredire l’Unione economica e monetaria occorre rovesciare il paradigma, muovendosi in un’ottica bottom-up. Non attendiamo le grandi riforme dei trattati, che comunque tardano a venire, per migliorare la governance economica. Cominciamo a integrare di più i mercati. Il progetto di codificare il diritto degli affari va precisamente in questa direzione. L’obiettivo, come si dice nel mondo anglosassone, è di creare un level playing field, un campo nel quale tutti possano giocare a parità di condizioni e con regole trasparenti. E, per di più, riducendo i costi di transazione. Se questo vi pare poco.

Alberto Saravalle

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