Un po’di spesa non basta. Spunti per una riforma della giustizia
09/02/2021 di Alberto Saravalle e Carlo Stagnaro.

L’efficienza e la qualità del sistema giudiziario sono cruciali per la crescita italiana. Il premier incaricato, Mario Draghi, ne è perfettamente consapevole, visto che se ne è spesso occupato nei suoi discorsi. Ma quali passi possono essere in concreto intrapresi nell’ambito del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza? Quali investimenti e quali riforme si possono introdurre rapidamente per cambiare il paradigma, tenendo conto del tempo limitato e delle opposte visioni che convivono all’interno della futura maggioranza?

Il documento inviato dal governo uscente al Parlamento dedica alla giustizia sei delle sue centosessanta pagine. Esso prevede uno stanziamento totale di due miliardi di euro per l’innovazione organizzativa a cui si aggiungono risorse complementari per circa un miliardo a valere dalla legge di bilancio. Tali risorse dovrebbero servire a (i) estendere l’ufficio del processo, con l’immissione di personale tecnico (informatici, architetti, ingegneri), (ii) consentire l’innesto di magistrati onorari  nei tribunali civili maggiormente gravati e nelle sezioni tributarie della Corte di Cassazione, e (iii) rafforzare sicurezza e innovazione del software e delle infrastrutture digitali, completando la digitalizzazione del processo civile e penale. Nulla si dice su dove esattamente ed entro quando i fondi saranno spesi né soprattutto si indica l’impatto che queste spese dovrebbero avere sui tempi della giustizia. Per il resto ci si limita a far affidamento sulle riforme pendenti in Parlamento, su iniziativa del ministro Alfonso Bonafede, già fortemente criticate dagli operatori del settore e bollate come inadeguate. In sintesi: un po’ di spesa subito e per il resto si calcia la palla avanti.

Per stabilire una realistica roadmap di riforma, serve identificare le misure che possono essere maggiormente efficaci, realizzabili in breve tempo e con un impatto segnaletico del cambio di direzione. Concentriamoci innanzitutto sulla giustizia civile. Sappiamo che, rispetto agli altri paesi europei, i nostri processi durano più a lungo (più di sette anni), abbiamo molte più cause pendenti e iniziamo ogni anno più cause (soprattutto in Cassazione). Gli interventi devono dunque essere chirurgici per disincentivare il ricorso in giudizio e le liti temerarie, limitare ulteriormente l’accesso alla Cassazione (ci vogliono circa quattro anni per una sentenza) e migliorare l’organizzazione e le pratiche lavorative dei tribunali, rinviando le riforme a più ampio raggio del sistema giudiziario in un secondo tempo.

Si può, per esempio, rapidamente intervenire per scoraggiare le azioni giudiziarie (incrementandone i costi e ponendo a carico del soccombente maggiori oneri) e favorire ulteriormente il ricorso a metodi di soluzione alternativa (evitando che siano mere formalità che non evitano il processo e si traducono in una micro-tassa a carico delle parti). Quanto alla Cassazione, una ragionevole proposta avanzata dall’Osservatorio sui Conti Pubblici è di limitarne l’accesso ai soli casi che oggi verrebbero  sottoposti alle Sezioni Unite (per dirimere i contrasti di giurisprudenza o per risolvere questioni di particolare importanza). Più che concentrarsi sui rimedi in rito, in questa fase, serve un’attenta disamina delle riforme dal punto di vista costituzionale per evitare che poi vengano vanificate dalla Corte Costituzionale per aver limitato l’accesso alla giustizia (principio spesso invocato a torto e pour cause).

Infine, occorre introdurre criteri di management nella gestione e intervenire con poteri ispettivi nei tribunali che hanno track record particolarmente inefficienti. Che sia possibile, con sforzi minimi, lo si veda dalle rilevanti asimmetrie nei tempi della giustizia tra i diversi tribunali. Gli investimenti, volti a completare il processo di digitalizzazione, e rafforzare gli organici devono pertanto essere mirati: serve dunque intervenire prima nei tribunali con maggior arretrato e nei quali il processo di digitalizzazione è più indietro.

Per la giustizia penale servirebbe (in senso contrario alla visione giustizialista che ha imperato in questi ultimi tempi) avviare un ampio processo di depenalizzazione dei reati minori che potrebbero essere sostituiti con sanzioni amministrative in modo da non gravare sui magistrati che, data l’obbligatorietà dell’azione penale, sono comunque tenuti a dedicare una buona parte del loro tempo a questioni di minor rilievo che potrebbero bene essere trattate in altra sede. In molti casi, poi, la lentezza della giustizia civile induce a presentare denunce o querele per fare pressioni sulla controparte e comunque ottenere più rapidamente a day in court. Occorre rimediare a queste distorsioni che inutilmente allentano i tempi della giustizia penale.

Naturalmente, siamo consapevoli che riformare la giustizia sia un vaste programme. Vi sono moltissimi interventi sul piano tecnico che possono essere effettuati. Il punto è che non siamo di fronte a un problema che possa essere affrontato con il cesello o con piccole modifiche alle procedure. Serve un segnale forte che qualcosa è finalmente cambiato, che gli interessi delle corporazioni interessate passano in secondo piano rispetto a quello del paese, e serve subito.

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